Jimi Hendrix, l'ultima stella di Woodstock

di Alessio Bardelli

Una delle immagini più forti del Festival di Woodstock del 1969 è quella di un chitarrista mancino che suona l’inno americano con la sua Fender Stratocaster. Non a caso la performance di James Marshall Hendrix, noto anche come Jimi Hendrix, rimarrà nella storia.

Dopo tre giorni di musica ininterrotta, che era andata avanti ogni giorno fino a mattina inoltrata, Hendrix si esibì per ultimo, nel quarto giorno, davanti ad un pubblico di circa 30mila spettatori, meno di un decimo di quello che aveva assistito alla lunga maratona di tre giorni.
Giacca bianca ornata di pelline, blue jeans, catenine d’oro al collo, e una fascia rossa in testa: è così che Hendrix si presenta al pubblico di Woodstock. Sono le nove del mattino del 18 agosto 1969.

Insieme a lui la Gypsy Sun and Rainbows che, fatta eccezione per il batterista Mitch Mitchell, comprendevano nuovi musicisti e segnavano la rottura di Hendrix con il bassista degli Experience Noel Redding. Al basso troviamo Billy Cox, alla chitarra ritmica Larry Lee, e alle percussioni Juma Sultan e Jerry Velez.

Per arrivare sul posto non fu facile. Ricorda Mitchell che non c’erano né camerini, né qualcosa di simile e che dovettero camminare un chilometro e mezzo in mezzo al fango per raggiungere una casetta dove si potessero cambiare.
Hendrix aveva molti dubbi prima del concerto, e, secondo la biografia Jimi Hendrix: una foschia rosso porpora, «era turbato da quanto leggeva sui giornali a proposito dell’enorme numero di spettatori che sarebbero stati presenti al festival». Sempre secondo questa fonte circa otto ore prima della sua performance Hendrix «era deciso a non presentarsi in scena».
Ma alla fine tutto andò per il meglio. Anche perché gli organizzatori per lui e la sua band avevano destinato un cachet di 30mila dollari, 18mila per l’esibizione e 12mila per i diritti di ripresa.

Juma ricorda come non avessero una scaletta da eseguire. L’esibizione della “band di zingari”, come li definì lo stesso Hendrix sul palco, fu frammentata e slegata per Mitchell. Ma non tutti ci fecero caso, e il live di Woodstock di Hendrix divenne la ciliegina sulla torta di un festival assoluto.
Ricorda così Hendrix: «È strano, ma quando siamo saliti sul palco restavano a malapena quindicimila persone. Avevo insistito per suonare con la luce del sole, quindi abbiamo dovuto aspettare il quarto giorno, e per allora molti se l’erano filata».

Oltre ai classici brani del repertorio di Hendrix, da Foxy Lady a Purple Haze, da Red House a Hey Joe, oltre a Voodoo Child e alle improvvisazioni di chitarra, il momento più intenso fu quello dell’inno nazionale americano Star Spangled Banner, (che potete gustarvi qua sotto) brano registrato in studio nel marzo del 1969, ma che era giù stato eseguito un anno prima ad Atlanta nell’agosto del 1968.
Quella chitarra esplosiva la ricorderanno tutti, unì un’intera generazione di giovani che protestava contro la guerra del Vietnam (anche se Jimi non era così contrario), fu il simbolo di un’epoca, un pezzo di storia degli Stati Uniti, e della musica mondiale.
Con queste parole Hendrix ricorderà i giovani che parteciparono a Woodstock: «Se un genitore ha a cuore i propri figli dovrebbe conoscere la musica che ascoltano. Il ruolo della musica è fondamentale in quest’epoca.. .è necessario prenderne coscienza. La musica è più forte della politica. Agli occhi dei ragazzi noi musicisti diventiamo un punto di riferimento, molto più in fretta di quanto faccia il presidente coi suoi discorsi. Ecco perché a Woodstock erano tantissimi».


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