Old Crow Medicine Show – Volunteer (2018)

di Davide Albini

A vent'anni esatti dalle loro prime incisioni indipendenti e con un contratto fiammante per il prestigioso marchio Columbia, gli Old Crow Medicine Show sono lanciati più che mai alla conquista della scena Americana, di cui restano uno dei punti di riferimento più nitidi di questi anni. Per festeggiare questo ideale anniversario si regalano un nuovo album, che credo spiazzerà in parte i fan della prima ora e chi li vorrebbe vedere imprigionati nel recinto della roots music più intransigente: Volunteer non rinnega nulla del percorso sin qui affrontato dalla band, sia chiaro, ma aggiunge più chitarre elettriche, più ballate d'autore e una certa verve strumentale arrembante che la produzione in gran solvero di Dave Cobb (sempre lui) esalta a dovere, senza per ciò svenderne l'ispirazione.

Il sestetto di base a Nashville aveva già dimostrato di voler sparigliare un po' le carte con la pubblicazione di "50 Years of Blond on Blonde", celebrazione del capolavoro dylaniano (ricordiamo il successo di Wagon Wheel, canzone co-firmata dalla band proprio con Dylan diversi anni fa) che sanciva l'esordio per la Columbia. Scelta strana e coraggiosa, un disco sostanzialmente di cover, molto apprezzato in ambito Americana, anche sulle ali dell'entusiasmo per il Grammy conquistato dal precedente Remedy. Volunteer era dunque un passo importante per capire la direzione che avrebbero intrapreso i ragazzi, ma gli autori principali Ketch Secor, Critter Fuqua e Chance McCoy mostrano di avere le idee chiare, di non cercare scorciatoie, restando fedeli alla tradizione, nello spirito di rinnovamento e vivacità che caratterizza le loro registrazioni. L'album si apre infatti con il galoppo irresistibile di Flicker & Shine, a conferma che il produttore Cobb ha cercato di catturare la forza delle esibizioni dal vivo degli Old Crow Medicine Show fra le mura della sala di incisione... e quale sala, visto che si tratta dello storico Studio A della RCA di Nashville, dove è passata buona parte della migliore country music.

Come si annunciava è presente qualche incursione più elettrica, ma sempre misurata e attenta a non cambiare il volto hillbilly e bluegrass che risiede alla base delle composizioni, quel fortissimo sapore rurale che ha eletto la band fra i portabandiera di un ritorno alla origini di certa american music da strada, nel ricordo di jug e street band di un'epoca dimenticata. Innegabile comunque la vitalità di episodi quali A World Away, sul tema dei rifugiati, o Dixie Avenue, cadenza honky tonk per un brano biografico sulle radici di Secor e Fuqua in Virginia. Pur nel coinvolgimento trascinante di Child of Mississippi, e più ancora di una scatenata giga hillbilly come Shout Mountain Music o del simmetrico strumentale Elzick's Farewell, con il fiddle a dettare la danza, i brani più intriganti e maturi restano quelli in cui gli OCMS svestono i panni di una orchestrina di musicisti da strada e affrontano ballate di grande impatto melodico e densità country folk.

Spesso costruite sul tema del viaggio e della vita on the road del musicista, come si trattasse di un tema portante dell'intero Volunteer, alcune di queste canzoni si elevano dal mucchio con un sapore classico, degne del grande fiume della tradizione americana. La prima a colpire nel segno è Look Away, di ampio respiro, con fiddle e pianoforte a scandire una melodia nostalgica. Le fa compagnia il sound più rustico di Old Hickory, che ci ricorda l'influenza centrale del linguaggio country rurale e bluegrass sul songwriting del gruppo, che spesso ha citato personaggi di culto come John Hartford o David Bromberg fra le proprie fonti di ispirazione. Il meglio però è riservato al finale, con il dolce cullare di Homecoming Party, firmata da Secor, tra contrappunti di chitarra e mandolino e un irresistibile, anche astuta se volete, ma efficacissima, chiusura a più voci, nonché con la tenue armonia di Whirlwind, una agrodolce ballata che serve come metafora per la storia stessa della band.

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