Michel Petrucciani, guida al grande pianista jazz

Tra i più grandi pianisti che la storia del jazz ricordi (e lo farà ancora per molto, molto tempo) c’è Michel Petrucciani. Musicista francese (ma di origine italiana) dotato di una tecnica, di un fraseggio e di una sensibilità fuori dal comune.

Ascoltando un suo brano, o un album intero, ci si lascia cullare dall’emozione che le note di Michel creano. Nella musica in fondo basta soltanto questo, il suono finale che arriva alle nostre orecchie, per decretare la qualità di un artista.

Dell’aspetto fisico del suo esecutore non ci importa niente, eppure nel caso di Petrucciani la fisicità ci aiuta a capire meglio il suo incredibile talento e la sua indistruttibile forza di volontà.

Michel, fin dalla nascita (1962), è affetto da quella malattia genetica nota come “Sindrome delle ossa di cristallo”, la osteogenesi imperfetta. Questa malattia crea problemi allo scheletro, alle articolazioni, agli occhi e alle orecchie. Questa non permette a Michel di superare, nella crescita, il metro di altezza.



Quello che poteva essere un gigantesco ostacolo nella realizzazione di un sogno si rivela invece una sfida da vincere per uno spirito forte come il suo. Lo stesso pianista ricordava, simpaticamente, che quel disagio fisico gli permetteva quanto meno di non avere altre distrazioni e potersi così dedicare alla musica, studiando giorno e notte. Inizia a suonare il piano all’età di 4 anni. Per arrivare ai pedali del pianoforte, il padre gli costruisce un particolare marchingegno. Fino a quando la prestigiosa fabbrica di pianoforti Steinway &Sons ne creò uno apposta per lui.



La famiglia ha un ruolo centrale nella sua formazione musicale. Il nonno, di origini napoletane (il padre invece era siciliano), era un famoso chitarrista jazz (ci suonerà anche Michel da grande). Il padre che amava quel genere musicale sprona il figlio allo studio dello strumento, prima al conservatorio per lo studio classico e poi studiando la tecnica dell’improvvisazione jazzistica.



Michel era un talento, un prodigio di tecnica, tanto che all’età di 15 anni già suonava in una band, capitanata dal batterista Kenny Clarke. Lascia presto la Francia per trasferirsi in California, al seguito dei musicisti Lee Konitz e Charles Lloyd.

Suona con Dizzy Gillespie, Jim Hall e Wayne Shorter soltanto per fare tre nomi di mostri sacri del jazz, di ogni tempo. Vince anche tantissimi premi, prestigiosi riconoscimenti alla sua musica e alla sua umanità: come il Prix d’Excellence e il Django Reinhardt Award.



Per un musicista jazz francese, in quegli anni, non era per niente facile conquistare gli Stati Uniti, ma Petrucciani non soltanto ci riesce ma diventa il primo francese a incidere per la prestigiosa etichetta newyorchese Blue Note. Suona anche in Italia e oltre alle manifestazioni più importanti (negli appuntamenti dedicati al jazz) da ricordare c’è l’esibizione davanti al papa, durante il concerto di Natale in Vaticano.



Il suo sogno, prima di morire, era quello di realizzare una scuola internazionale di jazz in Francia: “È lo scopo della mia vita”, diceva: “voglio costruire uno spazio per il jazz, perché il jazz sta morendo”. Michel si spegne a New York il 6 gennaio 1999, e viene sepolto a Père-Lachaise, accanto alla tomba di un altro grande pianista: Chopin. E se il jazz non è morto è anche grazie ai geni come lui.



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