Jeff Buckley - Grace (1994)
Fu un fulmine a ciel sereno l'esordio nel 1994 di questo figlio d'arte, che aveva ereditato dal padre Tim una vocalità quasi angelica e spinta fino a quattro ottave di estensione. Fu un fulmine a ciel sereno perché nessuno pensava che in un disco solo si potesse sintetizzare lo spirito di un decennio di fuoco (in ambito musicale, ovviamente) come gli anni Novanta, con il lirismo di Cohen e Van Morrison, la grazia di Edith Piaf e Nina Simone e le tessiture classiche di Benjamin Britten. Il risultato di questa miscela, al quale va aggiunta la chitarra di Jeff, uno dei chitarristi più grandi e sottovalutati degli ultimi vent'anni, è un disco che sembra quasi privo di collocazione spaziotemporale, etereo e corposo allo stesso tempo, sospeso fra raffiche del torrido vento di Seattle, ma elevato a livelli celesti dal volo della voce di Buckley. Il resto lo fanno canzoni come Grace, Lover You Should've Come Over o Last Goodbye, oltre all'ormai inflazionatissima cover di Hallelujah di Cohen, che qui sembra vivere di una vita lontana anni luce dall'originaria versione del canadese. Difficile dire se parte dell'aura che circonda questo disco sia dovuta anche alla prematura morte di Buckley, inghiottito da un gorgo nel Mississippi prima di potere giungere alla fatidica prova del secondo disco. Tuttavia, la foggia di Grace rifulge di luce propria, collocandosi di diritto fra i più grandi dischi della storia del rock.
(Gabriele Gatto)
Stupendo, quando voglio scaricare la tensione e stare bene lo metto ad alto volume e chiudo gli occhi. Uno dei migliori dischi di sempre.
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