The Dream Syndicate - Medicine Show (1984)

Una discesa agli inferi della narrazione hard-boiled compiuta ricorrendo all'enfasi allucinata dello Springsteen di Born To Run, alla melodia morbosa dei Velvet del terzo album, alle spettrali preghiere laiche del Neil Young di Tonight's The Night: Medicine Show, secondo capitolo dell'avventura troppo breve dei Dream Syndicate di Steve Wynn e Karl Precoda, apostoli della psichedelia minacciosa, rovente e chitarristica dei Television, ruota intorno a un centro assieme oscuro e luminoso, tra il male radicale inchiodato nei destini dei suoi protagonisti e l'orgoglio solenne di un suono denso, epico, ambizioso. Fuoriuscita la bassista Kendra Smith, artefice non secondaria delle atmosfere torbide e velvettiane del precedente The Days Of Wine And Roses (1982), e subentrati il sostituto Dave Provost e il produttore Sandy Pearlman (ancora lui), nonché Tom Zvoncheck al pianoforte (i suoi duelli con gli assoli della sei corde di Precoda intrecciano lirismo e disperazione in modo sublime), l'acid-rock della California diventa una cattedrale di melodrammi urbani (Merrittville), punk e blues rimescolati in jam febbricitanti (John Coltrane Stereo Blues), sferraglianti corse verso il nulla di un Ovest trasfigurato e spaventoso (la title-track). Per definire questa musica, benché accolta da un insuccesso clamoroso, si ricorse perfino a definizioni apposite: "Paisley underground", "il nuovo rock degli anni '80" etc. Ma la classificazione più adatta a Medicine Show, oggi come allora, è soltanto una: quella di classico senza tempo, da sempre attuale e per sempre giovane. (Mia valutazione:  Ottimo)
(Gianfranco Callieri)

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