Pearl Jam - Ten (1991)

Stone Gossard e Jeff Ament hanno alle spalle già due gruppi (i Green River e i Mother Love Bone) quando finiscono dalle parti di San Diego, California del Sud, in cerca di un batterista. Loro sono di Seattle, una città che all'alba degli anni Novanta sta cominciando a diffondere nel mondo del rock'n'roll un suono nuovo, un ritorno al rock pesante di un paio di decenni prima, con le chitarre in primo piano e un'essenzialità di suoni che tutti — altrove — sembrano avere dimenticato. Il batterista che cercano non ci sta, ma sua moglie conosce un tipo che canta e che potrebbe essere giusto per la band che quei due hanno in mente. Si chiama Eddie Vedder, lavora in una stazione di servizio ma ha due sole passioni: il rock'n'roll e il surf. Il giorno in cui riceve la cassetta con le cinque basi strumentali che hanno registrato Gossard e Ament, Vedder va a fare un po' di surf, torna a casa e scrive tre dei testi mancanti. Poi sovraincide la sua voce e rimanda la cassetta a Seattle. Una settimana dopo, va a Seattle anche lui: è diventato il cantante dei Pearl Jam. Il primo album del gruppo esce pili o meno un anno dopo. Si chiama Ten, in omaggio al numero che ha sulla maglietta il giocatore di basket Mookie Blaylock, il cui nome — all'inizio — era stato scelto per la band. Un anno dopo ancora, e Ten è al secondo posto delle classifiche di vendita americane: il grunge di Seattle è ora un fenomeno mondiale, e i Pearl Jam sono gli ultimi — e un po' snobbati — protagonisti della scena del Nordovest a sfondare. Sospettati dai duri e puri di essere un gruppo costruito a tavolino (un sospetto che i successivi dieci anni di guerre contro l'industria della musica e la campagna di incitamento alla diffusione delle registrazioni dei loro concerti dissiperanno), sono in realtà diversi da Nirvana, Mudhoney e Soundgarden pili che altro sul piano musicale. In sintesi, sono la versione anni Novanta del gruppone rock un po' epico alla Led Zeppelin: fin da Ten, nei loro album gli elementi indie e alternative scompaiono sotto un muro sonoro che il cantato possente di Vedder non fa che rendere ancora pili travolgente. Alive, uno di quei tre pezzi scritti a San Diego dopo il surf, diventerà una specie di inno, essenziale e diretto: «Be', sono felice di essere ancora vivo». (Mia valutazione: Distinto)

di P. M. Scaglione - Rock! (Einaudi)

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