Van Morrison – Roll With The Punches (2017)

di Fabrizio Zampighi

In un ideale botta e risposta con i Rolling Stones di Blue & Lonesome, anche Van Morrison decide di aprire l’album dei ricordi e omaggiare alcuni classici del blues con questo Roll With The Punches: quindici brani in tutto, cinque autografi e dieci ripescati da una tradizione che il Nostro frequentava già ai tempi degli Them, qui nobilitata dal valore aggiunto dell’esperienza. Il musicista irlandese però, diversamente da quanto fatto dagli Stones, mette su un disco credibile e non troppo di mestiere, con una certa ricchezza negli arrangiamenti (ottimo, ad esempio, il lavoro ai confini col jazz nella Goin’ To Chicago di Count Basie e Jimmy Rushing) e capace di certificare quella “connessione” col blues che lo stesso cantante ammette tuttora di avere («Fin da quando ero giovane, ho sentito un forte legame col blues. La cosa da non fare con questa musica, è analizzarla. Devi solo suonarla. […] È così che funziona il blues. È un’attitudine»).
Chiamati in studio illustri collaboratori come Chris Farlowe, Georgie Fame, Jeff Beck, Paul Jones e Jason Rebello, dunque, Van Morrison pensa bene di cucirsi addosso un programma perfettamente tarato sul suo stile, senza fare da prestanome poco carismatico per una tradizione che viaggia anche su binari estetici altri rispetto al mix di soul, blues, jazz che da sempre caratterizza la produzione del musicista. E allora ecco che un brano come I Can Tell (Bo Diddley & Samuel Bernard Smith) fa ripensare davvero al periodo degli Them, la Bring It On Home To Me di Sam Cooke mantiene uno spirito soul classico in un call & response di voci rotonde da manuale, il piano blues della How Far From God di Sister Rosetta Tharpe declina passioni gospel in lontananza perfettamente in linea con il cantato di Van Morrison, la Automobile Blues di Lightnin’ Hopkins è terra di conquista per un armonica a bocca che ben contrappunta il padrone di casa.
È un Van Morrison a suo agio e che non si risparmia, quello di Roll With The Punches, un musicista in un buon momento di forma – anche il precedente Keep Me Singing non era affatto male – che mostra anche un ottimo equilibrio in fase di arrangiamento (sua la produzione artistica del disco). I binari della sua musica sono ormai noti, certo, ma qui ci sono entusiasmo, doti tecniche, scelte tutt’altro che scontate e una band che segue il leader come un’ombra.

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