Radiohead - Ok Computer (1997)
Il disco che farebbero gli extraterrestri di ritorno sul loro pianeta dopo aver soggiornato sulla terra e averne raccolto i frutti musicali più prelibati. Molto di più di una dozzina di canzoni, piuttosto un’esperienza sensoriale, un tuffo in un’altra galassia. Con Ok Computer i Radiohead si spingono oltre la linearità di The Bends, album splendido che però rischiava (ingiustamente) di farli rientrare nel grande calderone del brit pop imperante negli anni 90 e trovano un irripetibile equilibrio tra Pink Floyd e Beatles, elettronica e rock, progressive e partiture jazzate. Tutto ciò senza derogare nemmeno per un istante al nitore delle composizioni, alla pura bellezza delle canzoni, senza che una sola nota suoni ostica o fine a se stessa. Al centro è sempre la poetica esistenzialista della band di Oxford, sempre protesa a trasformare in musica e parole l’alienazione e le derive nefaste della postmodernità. Il canto di Thom Yorke, l’anti-frontman per eccellenza, ne è il vettore perfetto, facendosi a seconda dei casi disperato, allucinato, dolce, rabbioso, ammonitore. Ed è una pioggia di capolavori che squarciano l’oscurità: i due tempi della epocale Paranoid Android, il piano di Karma Police (che in fondo è lo specchio deformato di quello di Let it be), la tempesta rabbiosa di Electioneering, l’entropia di Airbag e il nuovo ordine di The tourist, la apparente pacificazione di No surprises, la delicata nostalgia di Subterranean Homesick alien e l’inarrestabile crescendo di una canzone bigger than life come Exit music (for a film). L’ultimo vero grande disco del 900. (Mia valutazione: Capolavoro)
(Gianuario Rivelli)
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