Kronos Quartet – Folk Songs (2017)
Ad ogni nuova uscita discografica del Kronos Quartet si può star certi che meta e ispirazione porteranno sempre altrove. D’altronde in oltre quarant’anni d’onorata e pluripremiata carriera il leggendario ensemble tascabile ha esplorato ogni scibile sonoro e omaggiato l’opera dei più valenti e straordinari (alcuni non necessariamente popolari) artisti e compositori. L’ultimissimo “Folk Songs” grida la sua inequivocabile identità sin dal titolo, una selezione assai personale di “traditional folk” plurisecolari di origine irlandese, britannica, francese e americana. Il progetto e il repertorio furono presentati dal vivo a Londra e New York nel 2014, in occasione dei festeggiamenti per i 50 anni di attività della benemerita Nonesuch Records. Insieme agli strumenti a corda di David Harrington e soci vi erano anche le voci di Sam Amidon, Olivia Chaney, Rhiannon Giddens e Natalie Merchant (10,000 Maniacs), all’epoca tutte new entry del prestigioso catalogo dell’etichetta.
L’album non è altro che la versione in studio di quell’evento con lo stesso cast e la sapiente mano professionale del produttore Doug Petty. Tirati a lucido con nuovi arrangiamenti (ad opera di Nico Muhly, Donnacha Dennehy, Jacob Garchik e Gabriel Witcher) molti brani condividono un’affinità climatica dolente e malinconica, naturale proiezione di testi che raccontano di abbandoni e perdite sentimenali, lontananza dai luoghi natali, partenze per il fronte durante la guerra di secessione, oppure mistiche visioni religiose. La voce di Sam Amidon sbriga bene la pratica nell’iniziale Oh Where mentre diventa più partecipe quando ritorna sul motivo di I See The Sign, ballad che nel 2010 dava anche il titolo ad una sua ottima raccolta e rendition di vecchie gemme folk degli Appalachi. La finale Lullaby è invece un traditional “imitativo” composto e interpretato magistralmente dalla brava Rhiannon Giddens, strepitosa negli accenti celtici di una Factory Girl che già aveva inciso e presentato nel 2014 in un EP prodotto da T-Bone Burnett.
Gli archi e le corde del Kronos contrassegnano le atmosfere di ogni traccia con perfetta aderenza al canone e misurato gusto contemporaneo, facendo vibrare in modo superbo sia la carnalità rurale (vedi soprattutto Last Kind Words, unico strumentale della raccolta) sia il pathos immateriale che sprigionano questi versi e suoni della memoria. Se la palma della miglior prova e interpretazione se la contendono in ex-aequo Olivia Chaney e Natalie Merchant – nell’ordine struggenti e terse al limite dell’inverosimile in Rambling Boys Of Pleasure e Johnny Has Gone For A Soldier – va tuttavia sottolineata l’onestà e l’intensità di questo disco, che in contrapposizione a tante retromanie “old time” e tendenze “folk revival” ci riporta lì dove il genere ha realmente avuto origine.
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