Jake Xerxes Fussell – What In The Natural World (2017)

di Fabio Cerbone

Cercatore d'oro del folklore americano, giovane e anomala presenza nel panorama roots di queste stagioni, Jake Xerxes Fussell afferma il suo ruolo di errante chitarrista alla scoperta di tesori nascosti della tradizione. Facile accostare la sua opera al Ry Cooder degli esordi, anche per l'aproccio divulgativo e non strettamente rigoroso, e mai paragone fu al tempo stesso più azzeccato e insostenibile, nonostante tutte le possibili somiglianze stilistiche (sono presenti nei tratti di piedmont blues e di folk appalachiano allo strumento). C'è tuttavia una storia personale che testimonia la qualità del musicista e il suo sincero amore per la materia: figlio di Fred C. Fussell, a sua volta fotografo, ricercatore e musicologo sul campo, un po' sul modello di Alan Lomax, Jake è cresciuto tra le voci della memoria americana, imparando vecchie canzoni folk insieme agli amici del padre, gli altrettanto celebrati George Mitchell e Art Rosenbaum.

Con una compagnia simile è logico che Jake Xerxes Fussell finisse per elaborare la sua figura di studente e archeologo della musica delle radici (qui di ogni brano è riportata la fonte originale e le diverse interpretazioni), ma con una sensibilità e un gusto che non sono quelli di un maniaco del passato, un cultore di fumosi 78 giri persi nel tempo. What in the Natural World, seguito dell'omonimo e rivelatore album di debutto, è ancora una volta una raccolta di frammenti d'America che si tengono insieme grazie a una visione musicale chiara e ricca di bizzarrie e curiosità. Questa volta non è soltanto la tradizione in sé ad infondere la musica di Fussell: accade nella scelta di un repertorio più "contemporaneo", che passa dall'iniziale Jump For Joy di Duke Ellington alle sconosciute composizoni di Helen Cockram (Pinnacle Mountain Silver Mine, un brano del 1979) e Jimmy Driftwood (St. Brendan's Isle, datata 1960). Jake si dimostra interessato alle connesioni fra passato e presente, cercando di scovare l'anima di una nazione nelle sue più disparate forme di espressione folk. Ecco perché qui si passa da un classico come Bells of Rhymney (resa popolare da Pete Seger e dai Byrds) alla più scura delle murder ballad per bambini di Lowe Bonnie (finale dell'album cantato in coppia con la voce femminile di Joan Shelley).

In questa profonda e misteriosa operazione, Fussell unisce i brani nel segno del titolo stesso: What in the Natural World, senza punto interrogativo, può essere un'asserzione ma anche una domanda nascosta e il tema del rapporto tra l'uomo, i segreti e la forza della natura mette in comunicazione questo materiale, esaltato dal suono placido, cristallino della chitarra dello stesso Jake Xerxes Fussell. Sceglie un profilo candido, un mood rilassato che dalle trame country blues di Have You Ever Seen Peaches Grwing on a Sweet Potato Vine (il nonsense e l'ironia di certo folklore sudista in evidenza) approda ai panorami western sconfinati di Canyoneers e St. Brendan's Isle. A fare da supporto una band altrettanto parsimoniosa: la steel guitar di Nathan Golub (Mountain Goats) e il quasi omonimo Nathan Bowles, che fra piano, banjo e melodica crea una coperta leggera e accogliente per il lavoro chitarristico di Fussell, mentre le parti ritmiche (Casey Toll al basso e il citato Bowles alla batteria) sono spesso accennate.

Simboleggiato dal dipinto di copertina di Roger Brown (olio su tela del 1976), rappresentante della cosiddetta scuola dei 'Chicago Imagists' e artista influenzato dai contrasti fra cultura urbana e bucolica, tra ambiente umano e natura, What in the Natural World ne è l'esatta trasposizione in musica.


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