Valerie June – The Order Of Time (2017)

di Federica Carlino

«Comprendere l’ordine del tempo è importante per chiunque speri di realizzare un sogno. C’è un tempo per spingere, un tempo per prendersi delicatamente cura del proprio giardino e un tempo per concedersi un po’ di riposo». Questo concetto essenziale è alla base del nuovo album della cantautrice americana Valerie June, che con una lettera ai propri ascoltatori ha voluto presentare le dodici canzoni che compongono il suo The Order of Time, un dolce inno alla speranza e all’ottimismo. «Questo album utilizza le più comuni emozioni umane, dal desiderio all’amore, per mostrare che con un piccolo sforzo le cose si possono sistemare. Combina i colori dei generi con i vari modi di essere, tra cuore e anima. Accenna alle nostre sconfitte e perdite, ma con il desiderio di continuare a sperare in un nuovo mondo. Queste canzoni mi hanno dato speranza quando ne avevo bisogno. Quella speranza che mi spinge ad avere un po’ di fede nel fatto che ci vuole tempo per saltare da Pushin’ The Stone alla semina di piccole radici, ma che si raccolgono sempre delle ricompense se si è coraggiosi abbastanza da avventurarsi sul cammino dei propri sogni».
Consapevole di essere ancora solo un piccolo ma promettente germoglio nel vasto panorama musicale odierno, in questo suo secondo album via Conchord Records la cantante di Memphis ha ulteriormente sviluppato la sua affascinante fusione di sonorità blues, folk, soul e rock, questa volta senza l’aiuto di Dan Auerbach, ma sotto la guida altrettanto esperta di Matt Martinelli (Bad Brains). Sebbene la sua caratteristica voce nasale ed il suo modo quasi strascicato di pronunciare le parole possano risultare a tratti fastidiosamente caricaturali, l’ascolto complessivo di The Order of Time è sicuramente stimolante, perché ricco nel suono e soddisfacente dal punto di vista dell’evoluzione artistica. I momenti migliori sono la traccia d’apertura, Long Lonely Road, che evoca un tradizionale immaginario da road trip, dischiudendo lentamente una melodia semplice e giocando elegantemente con l’utilizzo delle chitarre come punteggiatura; Love You Once Made, che inizia come una nenia e si trasforma con maestria in una ballata soul; Man Done Wrong, che parte con un groove di batteria e prosegue con una rivisitazione moderna degli elementi fondanti delle work song; Shakedown, l’unica traccia movimentata dell’album, che fonde un sound progressive con una pungente chitarra blues; infine, Slip Side on Boy, in cui la voce della cantante, accompagnata dal caldo suono del rhodes, assume inizialmente un aspetto più delicato e si fa a poco a poco più decisa e carica di emotività.
Ciò che rende Valerie June un’artista degna d’attenzione è la sua capacità di utilizzare cadenze fisse in tutti i brani, riuscendo comunque a renderli distinti tra di loro, senza mai cadere vittima della banalità e della monotonia. Per questo, pur muovendosi su sonorità già ampiamente sentite, riesce a conferire ad ogni sua canzone uno stile personale e autentico. Un aspetto che, di questi tempi, è difficile trovare, e che le dà davvero una marcia in più.

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