Arbouretum – Song Of The Rose (2017)

di Alessandro Rossi

La natura é un luogo imprescindibile per ricongiungersi con la propria essenza, con l’ispirazione. Lo sa bene David Heumann, figura portante del progetto Arbouretum, che per il nuovo lavoro della band ha deciso di lasciarsi ispirare da svariate influenze culturali, prima fra tutte la poesia di quel Richard Lovelace, che con “The Rose” ha segnato l’estetica del nostro:

Sweet serene sky-like flower, Haste to adorn her bower; From thy long cloudy bed Shoot forth thy damask head!
New-startled blush of Flora, The grief of pale Aurora, Who will contest no more, Haste, haste to strew her floor!
Vermilion ball that's given From lip to lip in heaven, Love's couch's coverlet, Haste, haste to make her bed!
Dear offspring of pleased Venus And jolly plump Silenus, Haste, haste to deck the hair Of the only sweetly fair!
See! rosy is her bower, Her floor is all this flower; Her bed a rosy nest By a bed of roses pressed.
But early as she dresses, Why fly you her bright tresses? Ah! I have found, I fear,— Because her cheeks are near.

Song Of The Rose è uscito il 24 marzo (agli albori della primavera), presentandosi come un lavoro più leggero rispetto al passato. Sebbene le ispirazioni socio-culturali – che snoccioleremo più avanti –, siano ben presenti all’interno dell’album, tutto il materiale qui proposto deriva da esperienze personali o di fantasia, che ben s’innestano a riferimenti mitologico-filosofici.

Tematiche, queste ultime, che spesso abbracciano il pensiero Taoista, vista la grande passione da parte del frontman per la materia, in particolare nei confronti del filosofo cinese Lao Tzu. Un’influenza così forte da comparire fin da subito nell’opener “Call upon the fire”, dove la narrazione psichedelica diventa uno strumento di rottura nei confronti del giogo energetico a cui i ritmi della società moderna ci sottopongono – citando Kerson, e Rosemary Huang (I Ching).

“Dirt Trails” è un racconto illuminato sulla ciclicità con cui la tecnologia riesce a renderci bramosi di possesso. Il progresso, così inteso, diventa per Heumann una sciocca illusione; come quell’innovazione su cui tanto ci arrovelliamo e che spesso non centra l’obbiettivo prefissato, semplificarci la vita. Creando piuttosto nuove ed imprevedibili problematiche.

Un pensiero, quello degli Arbouretum, che trova la propria didascalia nella conclusiva “Woke up on the move” ed il suo rigetto per la staticità di un contesto urbano spesso schiavo di ritmi “altri” – in rapporto a quelli della natura. Svegliarsi in movimento, per seguire un altro ciclo, quello del moto terrestre e delle stagioni, alla scoperta delle nostre origini.

Sono passati quattro lunghi anni dal precedente “Coming Out Of The Fog” – cosa inedita per una band solita produrre un album ogni due anni –, ma la paziente Thrill Jokey non si è certo scomposta per questo. Song Of The Rose ci restituisce una band ispirata, capace di cavalcare Americana, Indie, Folk e Psichedelia dalle tinte Heavy, senza perdere il proprio tocco caratteristico, qui utilizzando un pennello più fine.

David Heumann (voce), Corey Allender (basso), Brian Carey (batteria) e Matthew Pierce (tastiere), si lasciano liberamente ispirare dalle formazioni British Folk dei seventies – pensiamo a Fairport Convention, Pentangle e Steeleye Span –, di cui Heumann indossa le vesti del cantastorie, senza per questo perdere del tutto quella vena lisergica (“Mind Awake, Body Asleep“) più marcata in passato. La primavera è arrivata oggi, il disco è quello giusto.


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