Ryan Adams – Prisoner (2017)
È davvero piacevole avere nelle orecchie un nuovo lavoro di Ryan Adams – la cui uscita prevista per la seconda metà di febbraio è stata anticipata dal singolo radiofonico “Do you still love me?“. “Prisoner” è un album dalla genesi complessa: figlia di quel divorzio che lo ha devastato sia dal punto di vista emotivo che psicologico. Ne consegue una scrittura probabilmente figlia del distacco, e capace d’innescare una rivoluzione nel cantautore americano. Lui, sempre alla ricerca di qualcosa che lo soddisfi a pieno – benché vanti una carriera ispirata alle spalle fatta di grandi collaborazioni e fughe verso dimensioni oniriche.
Qui, Adams sembra sentirsi finalmente libero di proporsi e di proporre una creatività nuova. Pennellate d’artista e graffi felini, senza mai vergognarsi di qualche caduta inevitabile.”Prisoner” si presenta come un disco fresco e libero, che pesca a piene mani dalle radici alternative (quasi indie) del nostro, per poi mischiarsi ad una certa indolenza Post-Grunge americana degli anni novanta.
Finiscono così sugli scudi tutta una serie di sentimenti rabbiosi e melanconici al contempo – “Shiver and Shake”, “We diassepear” e “Haunted house” su tutte –, restituendoci un Ryan Adams gravido d’idee e costantemente in crescita. Del resto, non ce ne sono troppi in giro capaci di mantenere viva quell’inquietudine distruttiva (ma d’insegnamento) propria delle dinamiche adolescenziali. Ne avrà di tempo per abbandonarsi alla saggezza creativa; per adesso, è forse giusto che sia questa la sua cifra artistica. Così violentemente accattivante.
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