The Jesus and Mary Chain - Psychocandy (1985)
L'idea è far pensare a chi ascolta che c'è qualcosa che non va nell'impianto stereo (o nella radio, se mai qualcuno decidesse di trasmettere la loro musica alla radio): tecnicamente, gli effetti che loro usano si chiamano feedback, o interferenze, se si preferisce. Interferenze all'interno dell'impianto di amplificazione, impulsi elettrici che diventavano suono e ridiventano elettricità pura e si autoalimentano, si moltiplicano, si rigenerano anche senza l'intervento dell'uomo. Disturbi che coprono la musica suonata, quella in teoria «buona», quella che i musicisti intendono produrre e far ascoltare. Ma in questo caso, i musicisti (i fratelli Reid, scozzesi, e altri piú o meno occasionali compagni d'avventura) vogliono produrre proprio questo: interferenze, feedback, in una parola, rumore. Non solo, però: sotto uno strato di rumore, ci sono canzoni, pure e semplici canzoni, alla maniera di Phil Spector, alla maniera della Motown. Just Like Honey, per esempio, quella che apre il loro primo, inarrivabile (inarrivato) album, parte proprio come Be My Baby delle Ronettes, il capolavoro pop se ce n'è uno. Poi però arriva la chitarra elettrica, arrivano le chitarre elettriche, e l'elettricità prende il sopravvento, sotto forma di energia statica, sotto forma di scarica elettrica latente che sembra coprire qualsiasi altro suono. O, meglio, condizionarlo, invalidarlo, bloccarlo, proprio come succede a chi mette le mani nella presa. Di loro, dei fratelli Reid, si parla da qualche tempo in Gran Bretagna: ne parlano quelli che sanno, quelli che raccolgono le voci, quelli che hanno intravisto, tra i fumi e le teste immobilizzate dei locali underground, i loro rapidissimi concerti. Poi arriva Psychocandy, che hanno voluto fare da soli, dopo aver firmato per una sottoetichetta del gruppo Warner. Nessun compromesso, le loro perfette composizioni pop vogliono renderle inascoltabili come solo loro sanno fare. Missione compiuta: il decennio che divora i suoi migliori talenti trova cosí la sua perfetta rappresentazione, attraente e senza futuro, come i punk avevano teorizzato senza crederci davvero fino in fondo. Nasce quella corrente di pensiero (non è solo un genere di musica, ovviamente) che i britannici chiameranno shoegazing. Guardare le proprie scarpe mentre si parla, si canta, si suona, non è esattamente una scelta. E una necessità. (Mia valutazione: Distinto)
di P. M. Scaglione - Rock! (Einaudi)
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