Stan Ridgway - The Big Heat (1986)

L'elettronica dei Devo, l'epica di Ennio Morricone. In breve la grande idea di Stan Ridgway e dei suoi Wall of Voodoo era stata questa. Chiusa la storia del gruppo con un classico che verrà suonato per anni in giro per il mondo da innumerevoli cover band (Mexican Radio), lui si mette d'impegno e spara tutte (o quasi) le sue cartucce nell'album che gli apre la carriera da solista. Le ritmiche ora sono ancora piú sintetiche (la batteria elettronica spa droneggia), le aperture melodiche sono ancora piú morriconiane, il cantato ancora piú narrativo, i toni ancora piú drammatici. Le idee, dirà poi lui, gli vengono da una vita imparata dai libracci polizieschi, dai filmacci di terz'ordine, dalla tv spazzatura. Ma Ridgway è un tipo strano, ha un senso dell'ironia che non molti colgono. Drive She Said è la storia di un taxista che ha a bordo una donna in fuga, della quale naturalmente si innamora, e che si strugge quando la vede scendere dal taxi con il bottino. Ma è anche un gioco piú complesso, perché cita un romanzo e un film (Drive, He Said: il romanzo di Jeremy Larner è del 1964, il film del 1971, diretto da Jack Nicholson), e tutti citano un verso famoso di una poesia degli anni Cinquanta (I Know A Man, di Robert Creeley, che si chiude cosí: «Guida, — disse lui, — Cristo, guarda dove vai»), e che è insieme ironica celebrazione e presa di distanza da quell'andare, sempre e comunque, che predicano i Beat. Siamo in pieni anni Ottanta, andare — o scappare, come raccomanda Bruce Springsteen — non funziona piú, non dà la salvezza, e nemmeno sollievo. Quando arriva il momento del racconto epico Sergio Leone insegna — è perché al potere terapeutico della narrazione non ci crede piú nessuno. E allora ci si diverte a smontare il meccanismo, a mettere i suoni della tradizione — del blues e del country — nella stessa provetta in cui sono stati versati i suoni e i ritmi dell'elettronica, le vestigia del nuovo. Ci si ingegna a raccontare una storia di fantasmi ambientata nel bel mezzo della guerra in Vietnam sul ritmo sempre uguale di una batteria elettronica e sulla struttura circolare delle canzoni popolari. Camouflage, sette minuti che divennero il piú improbabile singolo di successo di tutti gli anni Ottanta. Ma non in America, dove invece di successi del genere ci sarebbe stato bisogno. (Mia valutazione: Distinto)

di P. M. Scaglione - Rock! (Einaudi)

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