Piano Magic – Closure (2017)

di Simone Nicastro

Glen Johnson ha deciso: “Closure” sarà l’ultimo album dei suoi Piano Magic. Se sarà così o, come di moda ultimamente, un “break” di poco tempo per una reunion futura non ci è dato da sapere. Certo è che la riconosciuta serietà del musicista inglese tenderebbe a farci credere per una “chiusura” del progetto definitiva.
Comunque vent’anni son passati da quel primo album “Popular Mechanics” in cui c’era ben poco della band odierna. I Piano Magic da molto tempo ormai hanno declinato il loro sound su versanti emozionalmente “umbratili”. Una attitudine “dark” rivolta a ballate inquiete e sofferenti. Canzoni a cui non sono mancate nei molti lavori realizzati contaminazioni varie quali l’utilizzo di una elettronica vintage, virate più “shoegaze” e la presenza di diverse voci femminili. Ma nell’ultimo atto Johnson ha scelto la formula a lui più personale e in qualche modo più rappresentativa della storia della band.

Quindi fin dal primo brano in scaletta si gioca a carte scoperte: “Closure” può essere vista come il seguito di quella “No Closure” contenuta nell’album “Artists’ Rifles” del 2000. Una suite di oltre 10 minuti dove la voce di Johnson, come sempre “confidenziale”, si prende poco spazio lasciando le luci della ribalta alla varietà della sua chitarra elettrica tra un synth/fisarmonica spettrale iniziale, un cupo coro nel refrain e una coda pianistica.
Subito dopo “Landline” aumenta il ritmo permettendo alle chitarre elettriche di essere ancora più incisive e con un maggior “groove” divertendosi a sovrastare un campionamento leggermente rumoroso. Con “Exile” i Piano Magic mettono in mostra il loro lato più “catchy” e a mio avviso irresistibile: ritmica lenta elettronica, basso pulsante e portante a sostenere sia lo slide chitarristico che il fraseggio cantato fino al raggiungimento del ritornello “killer” nella sua semplice immediatezza.

Proseguendo “Let Me Introduce You” non sfigurerebbe negli ultimi lavori dei Low mentre “Living For Other People” sposa una soluzione intimamente decadente che ha il suo compimento nel riflessivo “spoken word” finale.
Vertice “popular” dell’album è “You Never Stop Loving (The One That You Loved)”, breve ballata lieve: chitarra classica e chitarra acustica a intrecciarsi dolcemente, percussioni continue ma non invadenti, viola a liberare la dolcezza, inserto limpido di vibrafono e melodia vocale disarmante.
Con “Attention To Life”, co-scritta con Peter Milton Walsh dei leggendari “The Apartments”, si torna ad atmosfere più drammatiche con un arrangiamento orchestrale cinematografico e un assolo di tromba incantevole.
La chiusura della vita artistica dei Piano Magic invece è destinata. “I Left You Twice, Not Once” ennesima ballata a tinte grigie dove il peso dell’addio sembra tendere ad una sorta di tensione, probabilmente una dolente accettazione dell’ultimo saluto “I left you twice, not once. The first time passed unnoticed. But you still lay in my arms. I could not better say goodbye”.

Ad essere sincero ho ascoltato ancora troppo poche volte quest’album per capire se si sono toccati quelli che io ritengo i vertici artistici della band (“The Troubled Sleep Of Piano Magic” e “Disaffected”) ma di sicuro queste ultime splendide otto canzoni non mi hanno per niente aiutato a dire addio a cuor leggero ai Piano Magic. Anzi direi il contrario.

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