Michael Chapman – 50 (2017)

di Nicola Gervasini

Nel 1973, all'indomani di due album acclamati dalla critica come nuove pietre miliari del cantautorato di marca brit-folk, il britannico Allan Taylor volò negli Stati Uniti per registrare The American Album, un disco concepito a Nashville con musicisti locali. Inutile dire che l'esito di consensi in patria fu disastroso, e che il povero Taylor dovette ritornare sui suoi passi tradizionali in gran fretta. Era quello un disco non perfetto forse, ma davvero lungimirante, perché da molto tempo la stessa strada pare essere battuta anche da molti suoi esimi colleghi. Pensate al Richard Thompson di Electric che si fa produrre sempre a Nashville da Buddy Miller, o pensiamo da oggi anche a questo 50 di Michael Chapman (il riferimento è agli anni di carriera da poco raggiunti).

Uno che nelle interviste, presentando il disco proprio come il personale "American Album", afferma che "da sempre ogni musicista inglese sogna di registrare in America con musicisti americani, esattamente come ogni americano vorrebbe fare un disco ad Abbey Road". 50 in verità è stato registrato in Inghilterra, ma ad aiutarlo in veste di produttore e musicista è stato il giovane yankee-folker Steve Gunn, che gli ha messo a disposizione una band di validi e giovani artisti della propria etichetta. Un tocco di vitalità per un vecchio folker dimenticato un po' da tutti, nonostante l'accoppiata di album Rainmaker (1969) e Fully Qualified Survivor (1970) sia dalle parti del capolavoro, e nonostante tutta la sua produzione degli anni Settanta sia assolutamente da riscoprire e alquanto vicina alla filosofia di John Martyn in termini di commistione di tradizione e suoni e melodie rock. Per chi volesse scoprire quanto sia stato un chitarrista acustico di primissimo livello possiamo consigliare il precedente Fish del 2015 (interamente strumentale) o la raccolta Trainsong: Guitar Compositions 1967-2010 che già segnalammo su queste pagine qualche anno fa.

Ma per chi oggi si esalta tanto per l'avvento di Ryley Walker (noi per primi, come potete evincere dai nostri Poll 2016) o dello stesso Steve Gunn, è obbligatorio provare ad ascoltare questo nuovo album. Composto da brani nuovissimi e da qualche ripescaggio dei suoi vecchi album rinfrescato per l'occasione, il disco offre un sound elettro-acustico che esalta alla perfezione la tecnica di Chapman, ma anche la sua voce, che col tempo ha acquisito ancora più profondità. L'intenzione è quella di dare una visione dell'America di oggi vista da oltremanica, dove anche un brano pessimista e apocalittico come Memphis In Winter (già pubblicato nel 1999 nell'album The Twisted Road) torna di straordinaria attualità, oppure la spietata analisi dei disastri della finanza di Money Trouble. Qui l'America che Trump vorrebbe salvare chiudendosi a riccio nella propria autarchia è una bomba già esplosa economicamente nel 2008, che nessuna amministrazione, buona o cattiva che sia, potrà salvare dal declino.

Una visione velata dello stesso ironico cinismo e sarcastico pessimismo del giovane Dylan che lui stesso cita apertamente nell'apertura di A Spanish Incident (Ramon and Durango). Felici che 50 riporti in auge un artista che ha ancora molto da insegnare; per sapere se poi ha davvero ragione su tutto, ne riparliamo magari fra quattro anni.

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