Lou Reed - New York (1989)

Era così logico che ci aveva messo più di quindici anni per capirlo. Il punto di (ri)partenza di una carriera non poteva che essere New York, la sua New York. Non quella degli intellettuali che filosofeggiano battute in Central Park disegnata da Woody Allen, ma neppure quella degli artisti che si rinchiudono nella perdizione della Factory di Warhol a coltivare il proprio ego nelle droghe e nel sesso. Quella del Lou Reed di fine anni ottanta è la New York delle strade, della gente comune. Già le liriche del bistrattato album precedente (Mistrial), ultimo maldestro tentativo di cercare una modernità che non gli apparteneva, erano improntate non più sulla sua rinnovata sfera privata, quanto su quella dei suoi vicini di casa. Reduci del Vietnam, drogati senza speranza, malati di AIDS, politici corrotti, venditori di speranze e uomini di paglia, New York è la più completa galleria di personaggi della Grande Mela, descritta con un piglio letterario ben poco da rock-writer. Nasce il suono del Lou Reed moderno, e finiscono anche i suoi tentativi di cantare normalmente come un pop-singer in favore di un nuovo stile parlato e declamatorio. Nei tour successivi, quando questa metamorfosi verrà portata all'estreme conseguenze con Songs For Drella e Magic And Loss, si presenterà in pubblico con occhialini e leggio, zittendo le urla e invitando tutti ad ascoltare suoni e parole come se fosse un reading di poesia. Eppure il sound di New York è quanto di più selvaggiamente e puramente rock sia mai emerso dalla sua discografia. E in questa contraddizione sta la ragione dell'amore incondizionato che si prova per questo disco.  (Mia valutazione:  Distinto)
(Nicola Gervasini)

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