Courtney Marie Andrews – Honest Life (2016)
Giunge solo ora sul mercato europeo il sesto album di Courtney Marie Andrews, giovane folksinger nata a Phoenix, Arizona, apprezzata e stimata da colleghi illustri come Damien Jurado e Jim Adkins.
“Honest Life” è l’album della maturità per la ventiseienne americana, un piccolo diario intimo dove l’autrice prende coscienza della sua femminilità ormai adulta, un progetto che sembra quasi un esordio in virtù della freschezza emotiva e dell’intensità creativa.
Quasi a rimarcare questa fase artistica, Courtney Marie Andrews ha eliminato dalla sua discografia ufficiale ben tre dei suoi precedenti album, in verità gli elementi base del sound di “Honest Life” non sono distanti da quelli che hanno caratterizzato i suoi esordi, quello che appare più evidente è la perfetta sinergia tra il lirismo dei testi e l’arguzia degli arrangiamenti.
La voce limpida e cristallina evoca Linda Rondstadt, Maria McKee ed Emmylou Harris, mentre alcune inflessioni pop-soul citano Carole King e Laura Nyro, un campionario di influenze sufficiente a far di “Honest Life” una piccola sorpresa del cantautorato moderno.
Quello che rende tutto ancor più affascinante è la qualità della scrittura, mai didascalica o eccessivamente derivativa, Courtney rende vivo e attuale un linguaggio folk-pop spesso confinato ai margini dell’easy listening, senza cedere ai cliché di molta produzione lo-fi o al fascino intellettuale del weird-folk.
La maturità e la consapevolezza permettono a Courtney Marie Andrews di sfidare le regole del country alternative, l’autrice pesca a piene mani in quel country-rock radio-friendly Fm che imperversava nei tardi anni 70, senza sporcarsi le mani, anzi centrando un trittico iniziale che avrebbe fatto la fortuna di molti album di quegli anni.
Il midtempo da autostrada americana di “Rookie Dreaming”, l’introverso mood da folksinger di “Not The End“ e il pop-soul di “Irene” sono non solo accattivanti ma altresì ricche di sfumature liriche, piccole perle di un gioiello di creatività che onora la miglior tradizione americana che va da Joan Baez a Joni Mitchell.
Pur dotata di una voce intensa e armoniosa, l’autrice evita eccessive acrobazie tecniche, sottolineando sia pregevoli uptempo country-western come “How Quickly Your Heart Mends” che le difficili trame della ballata per piano e steel guitar “Let The Good One Go”.
Le emozioni in “Honest Life” sono legate al trionfo del non detto, a quel mondo di mezzo dove un respiro conta più di un urlo, esemplari in tal senso la delicata e suggestiva title track o il gioioso country anni 60 di “Table For One”.
Come tradizione del miglior country al femminile, l’album si chiude con il pregevole e raffinato matrimonio sonoro con l’orchestra di “Only In My Mind”, perfetta esegesi della distanza che separa il romantico dallo stucchevole, e definitiva consacrazione di un’artista ormai matura per catturare la vostra immaginazione.
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