Brian Eno – Reflection (2017)

di Emanuele Brunetto

Pochi musicisti hanno dato un senso così profondo alla definizione di “avanguardia” come Brian Eno, artista talmente e costantemente “avanti” da risultare imprendibile per chiunque. La sua ultima mossa si intitola Reflection ed è qualcosa che va ben oltre il concetto di musica ambient di cui Eno è portatore sano, ben oltre il concetto stesso di album.

“Reflection” è in primis un’applicazione per Apple TV e iOS, realizzata da Eno selezionando suoni e sequenze da mischiare poi fra loro in un’infinità di combinazioni dettate da algoritmi. Un lavoro liquido e quindi impossibile da cristallizzare, che si plasma e modifica a seconda di ciò che gli sta intorno e per questo dal difficile inquadramento. La versione fisica di cui qui parliamo, dunque, altro non è che una delle possibili ricostruzioni operate da Eno ma non l’unica, né tantomeno l’ultima: 54 minuti per un’unica traccia in cui il compositore inglese ripercorre le costanti di un’intera carriera fondendole fra loro e rendendole irriconoscibili. Nessun elemento salta veramente all’orecchio, ma nel complesso conta più il procedimento attraverso cui Eno arriva al risultato piuttosto che il risultato stesso.

La “thinking music” di Eno è tutto e il contrario di tutto, può stare lì in sottofondo come una sorta di complemento d’arredo, quasi indistinguibile dalla tappezzeria o dai gingilli esposti nella credenza, oppure può risvegliare l’attenzione uditiva dei presenti, anche solo a tratti. Il problema – ma è un po’ cercare il classico pelo nell’uovo – è che nel continuo accostamento fra produzione casuale e logica matematica si rischia di perdere quei punti di riferimento necessari alla comprensione stessa dell’opera. Ma chiaramente si tratta di un limite di chi ascolta, Eno è già alle nostre spalle pronto a doppiarci. 


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