Hüsker Dü - Zen Arcade (1984)

Non sono solo veloci a suonare (il primo loro album, Land Speed Record, 1982, contiene 17 canzoni e dura 26 minuti), sono anche veloci a scrivere: nei giorni in cui esce il mini-Lp Metal Circus (7 pezzi per 19 minuti di musica), gli Hüsker Dü di Minneapolis sono già in un altro studio, in California, a registrare il nuovo album. Ci rimangono per poco: delle venticinque nuove tracce, piú di venti (ventuno? ventitre? il numero esatto nessuno lo sa per certo) sono buone al primo tentativo, in parte perché molto suonate dal vivo nei mesi precedenti, in parte perché l'ethos punk disdegna l'eccesso di rifinitura. Ancora un paio di giorni e — dopo una seduta di missaggio ininterrotta di circa quaranta ore — il nuovo album è pronto, per un costo totale di produzione di poco superiore ai 3 mila dollari. Hardcore, gli Hüsker Dü lo sono sul serio, come dimostra la storia dell'album che anche nelle loro intenzioni segna la maturità del gruppo. Ma non ortodossi, né banali: il punk, anche nella versione americana, quella anni Ottanta, va al di là del suono sparato delle chitarre, al di là della velocità d'esecuzione, al di là dell'urlo anti-melodico. E un modo di vedere le cose e di raccontarle, è forza, è rabbia, è rifiuto di qualsiasi forma di ricercatezza, o, peggio, di retorica. E suono senza mediazioni, in presa diretta dalla gola di chi canta, dalla chitarra, dal basso e dalla batteria di chi suona. Su tutto il resto, i tre sono disposti a transigere. Anzi, non vedono l'ora di poterlo fare, se concepiscono un album doppio (una mezza bestemmia, per chi ama le canzoni che superano a malapena il minuto), con un filo conduttore (un concept album? Il peggio del peggio, una roba anni Settanta), con un brano che dura 14 minuti. Zen Arcade mette in scena la storia di un ragazzo che fugge di casa, cerca una risposta alle sue domande nelle droghe e nella religione, si rende conto che il mondo non è migliore dell'ambiente che ha lasciato e infine si sveglia di soprassalto, La storia non è che un incubo, la vita può andare avanti come prima, Una storia che come al solito collega molto blandamente le varie canzoni, ma certamente un esperimento audace, che apre moltissime porte alla scena alternativa anni Ottanta. Che cosa ci sia dietro quelle porte non saranno gli Hüsker Dü a scoprirlo, ma neppure Mosè ebbe l'opportunità di vivere nella Terra promessa. (Mia valutazione: Distinto)

di P. M. Scaglione - Rock! (Einaudi)

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