Bob Dylan - Oh Mercy (1989)

Se si presta un po' di attenzione a quello che succede nel backstage, bisogna dire che Oh Mercy di Bob Dylan non potrebbe mai andare separato da Yellow Moon dei Neville Brothers e quindi nell'isola deserta bisogna infilarci un disco in più. I due album hanno in comune tutto: New Orleans (e basta e avanza), Daniel Lanois (mai così ispirato), i musicisti, il tono crepuscolare e spiritato, in parte persino l'arte naïf delle copertine. Più di tutto condividono Bob Dylan: Yellow Moon è permeato dalla sua presenza, non soltanto per le grandi versioni dei Neville Brothers di With God On Our Side e The Ballad Of Hollis Brown (a cui andrebbe aggiunta A Change Is Come, il cui debito dylaniano è sempre stato ammesso e riconosciuto dallo stesso Sam Cooke), ma proprio per la caleidoscopica visione della musica e delle canzoni. La stessa che ha reso Oh Mercy il suo penultimo capolavoro (l'ultimo è Time Out Of Mind): le canzoni, a partire dal capolavoro di Man In The Long Black Coat sembrano provenire da qualche luogo misterioso (e qui la Big Easy un certo peso specifico deve averlo avuto), i suoni raccontano notti popolate da un'infinità di creature che vorrebbero solo tornare a casa e la voce di Dylan è una guida onnipresente, come se a parlare fosse una coscienza segreta. Va ricordato che all'appello manca Series Of Dreams (va rintracciata nelle Bootleg Series), altra strepitosa e rocambolesca saga dylaniana che venne esclusa nelle fasi finali di Oh Mercy, perché non lo sa nessuno, se non lui e Dylan è Dylan, l'ultima parola è la sua.  (Mia valutazione:  Distinto)
(Marco Denti)

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