Band of Horses - Why Are You OK (2016)

di Matteo Quinzi

Di nuovo in forma. L'effimero miraggio mainstream nel quale si erano persi i Band of Horses con il precedente album del 2012, Mirage Rock appunto, aveva fatto pensare a una prematura parabola discendente per il gruppo americano. E invece dopo una salutare pausa discografica di quattro anni – escludendo il live Acoustic at The Ryman del 2014 - eccoli tornare con un disco convincente come Why are you ok, il quinto in carriera. Una curiosità: Ben Bridwell, voce e autore principale della band, ha dichiarato di aver registrato buona parte delle demo dei nuovi brani di notte, in casa e in solitaria, in modo da poter passare di giorno più tempo possibile con i propri quattro figli. Come dire, la famiglia prima di tutto, anche del rock.
Ko a colpi di melodia. Prodotto da Jason Lytle (Grandaddy), uno che sa come trasformare un brano in un ecosistema a sé stante, con la supervisione di due mostri sacri dello studio di registrazione come Rick Rubin e Dave Fridmann, Why are you ok è un disco immediato nella sua fruibilità ma assai ricco di trovate sonore e melodiche. L'incipit è dei migliori con Dull times the moon, un brano doppio, dal minutaggio esteso, con una prima parte lunare e riflessiva e una debordante esplosione rock nel secondo movimento. Tutta la prima metà del disco si mantiene su livelli elevatissimi di assuefazione, merito delle grandi capacità vocali/interpretative di Bridwell e di ottimi arrangiamenti orecchiabili ma di classe come nel singolo Casual party - da non perdere l'ironico e mostruoso video – o In a drawer dove nel ritornello spunta la voce, e c'è da giurarci anche la chitarra, di J Mascis (Dinosaur Jr.). La seconda parte dell'album si fa più morbida, sinuosa e per certi versi “passatista”, con episodi come Lying under oak, Whatever, wherever o Country teen, ma sempre con quel necessario twist contemporaneo, tale da non rendere il tutto una mera operazione nostalgia.
Aggiornare la tradizione. Folk, rock, indie, country, southern, persino un pizzico di soul bianco, la bisaccia musicale dei BoH è ricca di sfumature e riesce a creare in modo credibile, con semplicità e sincerità, dei collegamenti spazio-temporali tra epoche musicali differenti. In Why are you ok è condensato quasi tutto il dna del rock nordamericano, un fiume che scorre attraverso gli anni con i suoi saliscendi emotivi, unendo idealmente Neil Young con i Death Cab For Cutie. In questo gioco di specchi e rimandi probabilmente avrà anche influito il recente album di cover, Sing into my mouth”, che Bridwell ha inciso insieme all'amico Sam Beam (Iron & Wine). E se i primi due album dei BoH Everything all the time e Cease to begin rimangono ad oggi delle vette insuperate – per chi non li conoscesse sono due recuperi/ascolti a dir poco consigliati – si spera che il nuovo album possa rappresentare una rinascita, l'inizio di una lunga e proficua fase per i BoH, non un estemporaneo colpo di coda. Le premesse, ascoltando queste dodici tracce di agrodolce, accorato e ispirato indie/folk/rock, ci sono tutte. (Mia valutazione: Buono)

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