Brian Eno - The Ship (2016)
Non ha bisogno di particolari presentazioni Brian Eno. Ex componente dei Roxy Music, il suo nome è associato a quello di artisti altrettanto prolifici, sperimentali e brillanti: basti ricordare David Bowie, Robert Fripp, David Byrne e James Blake, fra gli altri. The Ship, suo nuovo lavoro, uscito a fine aprile, arriva quattro anni dopo l’acclamato Lux e appare, sin da un primissimo ascolto, un album estremamente interessante ed elaborato, tanto a livello musicale quanto a livello concettuale. “Wave After Wave After Wave”. E’ così che si chiude The Ship, la prima delle quattro parti che compongono l’album. Lunga più di 20 minuti, è una canzone straniante ispirato dalla tragica vicenda del Titanic (1). Allo stesso tempo minimalista, elegante ma complessa, combina voce e suoni trasportandoci fino alle profondità degli abissi, variando a più riprese prospettiva sonora e impegnando all’ascolto chi si mette alla sua scoperta. Va riascoltato più volte per apprezzare la trama musicale e la potenza del suono che Eno conferisce.
Le altre tre tracce, dal titolo Fickle Sun, sono numerate da I a III. Costituiscono la seconda sezione del lavoro e sebbene la denominazione sia in parte identica differiscono l’una dall’altra da un punto di vista musicale, nonostante mantengano comunque intatto il comune cuore concettuale. Si tratta in effetti di una suite composta da tre sezioni, quindi è inevitabile ascoltarle in sequenza per apprezzarne tutta la potenza espressiva. La prima, lunga 18 minuti, si intitola semplicemente Fickle Sun (i) ed è, al pari di The Ship, estremamente impegnativa. Musica avvolgente e voce si fondono in questa traccia ispirata alla guerra, dal grande impatto emotivo, specie a partire dalla seconda metà del brano e in chiusura. Il suono limpido del pianoforte accompagna la lettura intensa ed avvolgente di un brano scritto e recitato da Peter Serafinowicz in Fickle Sun (ii) The Hour is Thin, al pari del precedente dedicato alla guerra. Come dichiarato dallo stesso Brian Eno, tema centrale del lavoro è la hybris e le sue ripercussioni sulla vita degli uomini. E cosi udiamo, scandite dalla voce di Serafinowicz, queste parole: “Tired with what the world has yet brought forth / With the women waving at war and the news that war is faith... / Who did not feel any purpose?... We waste away our hours and darken beneath the velvet of a strong optimism, Britain’s most fateful hours are spun”.
Chiude l’album Fickle Sun (iii) I’m Set Free, brano dei Velvet Underground scritto da Lou Reed nel 1968. Sembra quasi svolgere una funzione catartica: con la sua ricca orchestrazione, il mélange di archi e pianoforte, questa traccia apporta una luce intensa al lavoro fino a questo punto scuro e cupo, pieno di ombre. E’ la perfetta conclusione di un album molto bello, interessante ed elaborato, da riascoltare più volte per apprezzarne la grande ricchezza e che certamente resta all’altezza della produzione del miglior Brian Eno. (Mia valutazione: Discreto)
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