Eric Bachmann - Eric Bachmann (2016)

di Fabio Cerbone

Messo in soffitta il suo alter ego musicale, la creatura Crooked Fingers, pseudonimo sotto il quale si celava l'identità di un autore piuttosto che il percorso vero e proprio di una band, Eric Bachmann torna ad esporsi in prima persona, attraverso il suo terzo disco solista. L'omonimo titolo sembra sottolineare una sorta di ripartenza, facendo tabula rasa del passato. Non è esattamente così, ma resta evidente la distanza dal primo lavoro, Short Careers, che non era altro che una colonna sonora a carattere strumentale, e altrettanto da quel To the Races, in buona parte acustico e folkie nell'animo. Con il ritorno alla Merge, l'etichetta degli stessi Crooked Fingers, un po' di quella esperienza viene mediata dalla sensibilità matura di oggi, offrendo un'elegante raccolta di ballate divise tra carezze pop d'autore e tenui colori rock, nel disco più forbito e strutturato della sua produzione.

Si conserva un briciolo del romanticismo che affiorava nei migliori episodi con i Crooked Fingers (per esempio il dimenticato gioiello Red Devil Dawn, oppure il multiforme Dignity and Shame), si perdono per strada invece alcune eccentricità che hanno sempre distinto la scrittura di Bachmann, personaggio a cui spesso è piaciuto sparigliare le carte. Senza dubbio siamo molto lontani, non solo in termini temporali, dalla creatura che gli ha dato fama e stima, ovvero sia quegli Archers of Loaf campioni dell'indie rock anni novanta, dove ebbe inizio l'avventura. Non c'è traccia di stridori elettrici in Eric Bachmann, semmai un agrodolce e malinconico mix di melodie pianistiche che fanno piompare dalle parti dell'Americana in Belong to You e si reinventano un moderno doo wop che piacerebbe tanto a Dion in Mercy, con i suoi coretti femminili e quell'aria vintage fra le note. Il contrasto tra la soavità delle melodie e alcuni passaggi tormentati nelle liriche è una delle chiavi di accesso al disco, che in superficie resta però molto affabile.

Persino troppo, vien da dire, perché passata la rotondità pop rock di Modern Drugs si comincia a planare con una certa uniformità nella scelta degli arrangiamenti. L'interpretazione di Bachmann rimane aggraziata, una voce la sua che è un'arma in più, ma sono le canzoni ad essere troppo trascurabili: Separation Fright è un'altra carezza pop che potrebbe uscire dall'Elton John più ordinario, Small Talk esagera nel riprendere quell'intreccio di voci retrò in odore di doo wop, l'unica cover, Carolina (dal repertorio di Liz Durrett), si fa eterea e si gioca tutto il suo fascino su un riff leggero di chitarra elettrica, per chiudere infine con la grandeur sonora che fa ancora affidamento sul motivetto del pianoforte in The Old Temptation. Non è disco su cui si possa infierire questo omonimo Eric Bahmann, ma resta il dubbio che la passione, anche scombinata a volte, del progetto Crooked Fingers riservasse più sorprese. (Mia valutazione: Distinto)

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