The Pines - Above The Prairie (2016)
Chiudete gli occhi e immaginate. Immaginate di essere seduti sul retro di un pick-up, il vento a schiaffeggiarvi i capelli, l’interstate che sfreccia sotto i vostri piedi, il sole buono della primavera a dorare un profondo orizzonte di grano. E immaginate di sdraiarvi in quella distesa di spighe bionde, quando il crepuscolo vi avvolge e voi, col naso all’insù, cercate di dare un nome alle prime stelle che baluginano in cielo. Chiudete gli occhi ancora e spingetevi nella notte silenziosa del Midwest, fino a quel silo là in fondo, dalla cui sommità potrete attendere il brumoso abbraccio dell’alba. Ora, mettetevi le cuffie e ascoltate Above The Prairie, quinto album in studio dei The Pines: vi accorgerete di non avere più bisogno di chiudere gli occhi e che tutto quello che avete immaginato si sta materializzando d’incanto intorno a voi. Il Midwest, cuore rurale dell’America, il mare fluttuante del granoturco, distese d’erba profumata e grassa, la primitiva solitudine di fattorie perse nel silenzio, il frinire dei grilli nella notte tiepida, l’immensa quiete del cielo che abbraccia la terra. Ora ci siete solo voi, il Midwest e i The Pines. E queste dieci canzoni di americana, che con tratto leggero disegnano paesaggi e natura, epiche come un road movie, trasognate dall’estasi della contemplazione, evocative come la luce blu, che accompagna il trapasso del crepuscolo nel cuore della notte. Aerial Ocean apre il disco con la lirica visione di un cielo al tramonto, che tinge di rosso la pianura, stagliando in lontananza i bassi contorni di un paesaggio collinare: un tappeto di pianoforte, il morbido arpeggio delle chitarre, una slide appena sussurrata, una sensazione di smaterializzazione, come se il corpo all’improvviso si fermasse e l’anima volasse leggera fra astri lontani e dolcissime malinconie. There In Spirit riporta coi piedi per terra, il sogno si fa narrazione, la notte sfuma, mentre l’alba sfiora insieme ai vostri piedi scalzi il fresco tepore dell’erba. Le sonorità sono appena un po’ più roots, ma è sempre il pianoforte a intrecciare i fili di una dolente melodia. Tutte le canzoni del disco sono legate fra loro dalla stessa visione paesaggistica e mantengono una coerenza, emotiva e sonora, anche quando il linguaggio trova altre coloriture. Come nel caso della straniante elettronica di Lost Nation, brano strumentale che sarebbe fuori contesto in qualsiasi disco di americana, e qui invece amplifica il mood trasognato delle canzoni in scaletta. O come in Hanging From The Earth e Where Something Wild Still Grows, due brani con cui I The Pines si aprono a sonorità folk pop più convenzionali, tenendosi però lontani dall’ovvio dei falò da spiaggia (e delle charts), grazie al tocco misurato del piano, elemento peculiare del loro songwriting, e a uno sguardo che resta al contempo romantico, malinconico e asciutto. E non passano inosservate sia la drammatica bellezza di Here, corale (e accorata) preghiera, attraversata da lacrime di violino, o le uillean pipes dello strumentale Villisca, che riportano con dolcezza l’Irlanda nel cuore d’America, sfociando però in un finale dagli inquietanti accordi in minore. Di straordinaria forza evocativa è anche la chiosa di Time Dreams, spettrale spoken word, in cui possiamo sentire per l’ultima volta la voce del compianto John Trudell, musicista, attore e poeta, che ci ha lasciato lo scorso dicembre. Degna conclusione di un disco tra i più suggestivi ascoltati quest’anno, capace di leggere il suono tradizionale attraverso la lente sfocata del sogno. Potete, quindi, chiudere gli occhi e immaginare; oppure, potete mettere nel lettore questo cd: i The Pines vi porteranno la loro terra e i loro cieli direttamente sul divano di casa. (Mia valutazione: Distinto)
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