Television – Marquee Moon (1977)

di Stefano Puddu

Concepito in un periodo storico che vide l’esplosione del punk generare l’eccitazione dei sobborghi su entrambe le sponde dell’Atlantico, la pubblicazione di Marquee Moon nel febbraio del 1977, arrivò nel momento in cui le attenzioni dell’industria discografica erano rivolte alla luminosa mediocrità dei ‘due minuti a pezzo’ e soprattutto alle produzioni levigate di band come gli Eagles e Fleetwood Mac.

Distanziandosi dalla narrazione più dirompente azionata delle sonorità dei loro contemporanei britannici – Sex Pistols, Damned, Wire, The Vibrators – e dalle evoluzioni surf nel punk-rock statunitense dei Ramones, la band capitanata da Tom Verlaine (appellativo che ossequia il poeta decadente) intraprese un cammino rivoluzionario e audace, caratterizzato da un inventiva bruciante che rifiutava i confini stilistici. Combinando magistralmente elementi punk, garage, blues e jazz.

Il linguaggio espressivo sopraffatto dall’alienazione metropolitana – come mostra l’immagine di copertina realizzata dal fotografo Robert Mapplethorpe – familiarizzava abbastanza con l’insurrezione anarchica del momento. Malgrado le differenze di genere fossero tangibili, i Television condivisero i medesimi scenari dell’evoluzione alternativa newyorkese con il punk frenetico innescato dai Dead Boys, la wave radio-friendly dei Talking Heads, le influenze disco dei Blondie e la poetica bohémien di Patti Smith. Contribuendo ad alimentare lo sviluppo artistico della East Coast che rimodellava il volto della musica rock dal torpore dei primi anni settanta.

Un capolavoro che affonda le sue radici nel collage evolutivo del suo leader. Dalla formazione classica e l’interesse per le opere di Wagner, all’attrazione per il free jazz di John Coltraine e Albert Ayler, sino a raggiungere la conversione chitarristica nella tarda adolescenza, sedotto dalle partiture di ‘19th Nervous Breakdown’ dei Rolling Stones e ‘All Day And All Of The Night’ dei Kinks.

Con Richard Hell al basso e Billy Ficca alla batteria, nel ’73 forma i Neon Boys. Una band proto-punk che assunse nuove coordinate alla fine dello stesso anno, quando alla seconda chitarra venne arruolato Richard Lloyd. Fu allora che l’invadenza e la discrezione onnicomprensiva dello schermo a tubo catodico, suggerì al quartetto il cambio di frequenza che risponderà al nome di Television. Dopo aver assicurato la loro presenza domenicale nel leggendario CBGB gestito da Hilly Kristal, il ripetuto dimenarsi sul palco di Richard Hell generò divergenze incolmabili con la presenza scenica più controllata della band e venne sostituito da Fred Smith (ex Blondie). La nuova line-up nel 1975 pubblica ‘Little Johnny Jewel’, un unico brano diviso sulle due facciate di un 45 giri, elogiato dalla critica e seguito due anni dopo dalle meravigliose atmosfere del loro album d’esordio accasato nella rinomata Elektra Records.

Nel mezzo, il tentativo fallimentare della produzione amatoriale di Brian Eno (raccolta in un raro bootleg), e l’avvicendamento al mixaggio di Andy Johns, un celebre sound engineer che lavorò su diversi album famosi, tra i quali ‘Exile On Main Street’ degli Stones. Finalmente l’album catturò con successo la superlativa brillantezza di un suono impregnato sul romanticismo evocativo di una voce fragile, rendendola invulnerabile nei fraseggi onirici di Marquee Moon.

L’epidermica sensibilità art-punk che trabocca dall’interazione ferrea nella spirale di chitarre in ‘See No Evil’, inietta sulle vene liriche dell’album un coagulante di tensione che ha reso il suono dei Television affascinante e originale. Alimentato dalla narrazione ironica di ‘Venus’ e ‘Friction’, dedita a ricreare una serie di immagini distorte e bizzarre, ispirata al girovagare notturno di Verlaine per i vicoli oscuri della Big Apple. Una galleria di melodie astratte e abbaglianti, dove il basso di Fred Smith e i tamburi di Billy Ficca si integrano alla perfezione con l’eccentricità istintiva del frontman e di Richard Lloyd. Slanci impetuosi riassunti nell’evoluzione intrecciata dei prolungati assoli guida che fluiscono nella beatitudine sonora nei nove minuti e cinquantotto secondi della title-track. Citare la famosa frase di Patti Smith: “Tom plays guitar like a thousand bluebirds screaming”, risulta quanto meno necessario ad omaggiare ulteriormente la portata innovativa delle sei corde di Verlaine. Una stupefacente abilità musicale che riverbera sull’intensità esistenziale di un equilibrio precario, tra il reale e un vuoto liberatorio, decollando e mantenendosi fluttuante anche sulle dinamiche intricate di ‘Elevation’. Mentre il tenue bagliore strumentale che pervade ‘Guiding Light’, si muove ad un ritmo maestoso, strizzando l’occhio a quella ‘I’m Set Free’ dei Velvet Underground e alle sue atmosfere eleganti. Successivamente impreziosite dalla seducente dolcezza dei giri di basso con ‘Prove It’, prima che gli avvicendamenti intriganti di quest’opera meravigliosa vengano sentenziati da ‘Torn Curtain’, avvinghiando il sentimentalismo dolente nei sospiri di una ballata malinconica.

Uno dei rilasci più eclatanti e influenti da cui attinsero a piene mani nei decenni successivi numerosi artisti. Gruppi come Joy Division, Meat Puppets, Sonic Youth, R.E.M, Pixies, Strokes, sono forti debitori verso le composizioni di Marquee Moon, timbrate con inchiostro indelebile nel firmamento degli album imprescindibili. (Mia valutazione: Buono )

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