Bruce Springsteen - Darkness On the Edge of Town (1978)
Non esiste recensione o scritto su Darkness On The Edge Of Town che non parta dalla sofferta genesi del disco e dalla tragedia di un artista nel pieno dello zenith creativo costretto a tenere nel cassetto tonnellate di materiale di primissima qualità per meri motivi contrattuali. E proprio dalla scelta dolorosa di dover arrivare a dieci brani su almeno una cinquantina papabili nasce anche l'eterna discussione se era questo poi il disco migliore che lo Springsteen del 78 poteva far uscire o no. Di certo, al di là della riconosciuta grandezza del materiale (che ne fa il disco più amato dai suoi hard-fans), lo straordinario risultato della raccolta fu proprio quello di apparire come un opera unitaria, quasi un concept-album dedicato alla grande depressione del sogno americano post-Nixon e post-Vietnam, un diario perfetto di quel viaggio immaginario che dalle Badlands del mondo post-industriale del New Jersey e delle sue oscure periferie, portava ad una terra promessa ormai lontana. Tracks e The Promise hanno dato conferma che ci sarebbe potuto stare anche dell'altro, ma alla fine è meglio che sia andata così, perché anche la sostituzione di alcuni brani considerati "minori" come Factory o Streets Of Fire avrebbe tolto mattonelle portanti ad una costruzione pressoché perfetta. Il risultato è il suo disco più dark, l'altra faccia del tronfio e battagliero Born To Run, quella della foto di copertina dove sembra che abbia appena smesso di piangere e stia cercando una qualche motivazione per ripartire.
(Nicola Gervasini)
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