Tom Waits - Rain Dogs (1985)
"Non esiste il diavolo. E' solo dio quando è ubriaco" sostiene Tom Waits. Questo è in sintesi il rapporto tra Waits e il blues e gli effetti del dopo Raindogs sono assimilabili ad una sorta di stato di ebbrezza. Effetti che riprendono, ma con maggior fruibilità, quanto espresso e avvertito nel rivoluzionario Swordfishtrombones, che non fece strage di vendite ma di cuori degli addetti ai lavori. Fu amore a prima vista. Raindogs è il compendio di tutti quei segni distintivi che identificavano Waits negli anni Ottanta: arrangiamenti frantumati, testi ambigui, un ampio spettro di riferimenti musicali, stravaganti personaggi, il rumore delle superfici (utilizzando il recipiente dei panni sporchi al posto della batteria o oggetti raccattati per strada, con una voce inimitabile e ancora chiara). Il collante che lega tutte le 19 tracce dell'album è unico, tentacolare, tra blues scarni e viscerali, jazz notturno, tanghi cubani, cabaret parodistici, ritmi spezzati di rock'n'roll e suoni mescolati a marcette funebri in atmosfere New Orleans. In Raindogs troviamo sia il Waits del primo periodo rappresentato da Hang Down Your Head, Downtown Train e Time, che brani come Singapore, Tango Till They're Sore e Walking Spanish i quali hanno condizionato ogni nota della sua produzione successiva, con indizi già presenti chiaramente nel precedente Swordfishtrombones. Raindogs rappresenta un gran turbinio di note in cui viene voglia di fischiettare il ritornello di Jockey Full Of Bourbon, preso a prestito da una filastrocca infantile o di battere il piede sulle note blues di Gun Street Gil. La scoperta di Kurt Weill e l'inserimento alle chitarre di Marc Ribot bagnati nel blues di Howlin' Wolf creano una geografia musicale tutta sua a cui Waits non saprà prescindere.
(Antonio Avalle)
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