Neil Young & Crazy Horse - Americana (2012)

di Silvano Bottaro

Il panorama musicale di questo duemiladodici non brilla certo di nuove stelle se, dopo Bruce Springsteen, Willie Nelson, Patti Smith ora è il turno di Neli Young...
Nel bene o nel male comunque, se riescono a far parlare di sè, un motivo ci sarà, e, molto probabilmente, questo motivo è dato dalla non banalità dei loro dischi.
Dopo il bel "Le Noise" del 2010 in collaborazione con Daniel Lanois e dopo "A Treasure" (un bootleg) del 2011, questa volta Neil Young si fa aiutare dai suoi Crazy Horse (Billy Talbot, Ralph Molina e Poncho Sampedro) amici che non si vedevano in studio dai tempi di Greendale del 2003.
L'album è formato da undici brani tradizionali, un viaggio di duecento anni nella storia della canzone "americana". Un disco delle radici quindi, dove Neil per nulla nostalgico, rivisita molti classici folk americani come “Oh Susannah”, "Clementine, “Tom Dula”, "Jesus' Chariot" e "God Save The Queen" brani scritti nel 1800 e i rimanenti: "Gallows Pole", "Travel On", “This land is your land”, “Get a job”, "High Flyin' Bird" e "Wayfarin' Stranger" brani classici del ventesimo secolo.
Checché se ne dica, ancora una volta Young, spiazzando critica e fan, "sforna" un album imprevedibile e inatteso, dimostrandosi (ancora una volta) lontano da mode e costrizioni discografiche. Esponendosi a grossi rischi quindi, con straordinaria intelligenza, incide un disco curioso e carico di passione. Già questo gli merita onore. Potrà piacere o meno, fatto sta che questa prerogativa non è da tutti.
Personalmente il disco è più che buono, si fa ascoltare con piacere e soprattutto, trattandosi di brani datati, non rischia di annoiare come a volte succede. Un buon risultato rock dato dalla miscela energetica dei Crazy Horse con il classico "american folk" tutto sapientemente dosato, diretto, suonato e cantato da quel genio e un po' folle di Neil Young. 

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