King Creosote - From Scotland With Love (2014)

di Gianfranco Marmoro

Lasciatemelo dire: nessuno nell’ultimo decennio è riuscito a raccontare la Scozia meglio di King Creosote (ovvero Kenny Anderson), non quella dei desideri o dei sogni, ma quella reale e tangibile, vissuta e rivissuta attraverso il racconto di chi la vive quotidianamente.
Il suo ultimo atto d’amore è “From Scotland With Love”, colonna sonora di un documentario della regista neozelandese Virginia Heat, una sfida che l’artista affronta calandosi in una realtà storica centenaria fatta di guerre, sofferenza e lotte per la dignità dei lavoratori.

Il vestito elettronico raffinato e incantevole di Jon Hopkins in “Diamond Mine” ha certamente dato lustro al suo enorme repertorio discografico (questo è il suo 42° album), trascinando il suo nome fuori da un circuito cult sempre più numeroso, ma non crediate che dietro quelle ammalianti pagine di ambient-folk si nascondesse il nulla, quella magia appartiene a una tradizione musicale che viaggia nel tempo senza perdere smalto e autenticità, e si chiama Scozia.

Come ogni buon racconto “From Scotland With Love” alterna riflessioni dolorose a giocosi sprazzi di humour, ed è proprio nell’abilità di Anderson di saper dosare con naturalezza questi due basilari elementi emotivi e lirici, il fascino dell’album.
Aiutato da uno stuolo di musicisti più ricco e imponente, l’autore sembra a suo agio nell’atmosfera retrò delle vicende raccontate nel film-documentario, e le adorna prima con un delizioso valzer ricco di romanticismo (“One Floor Down”) e poi con una polka coinvolgente e trascinante (“Largs”) che, insieme al kraut-folk di “For One Night Only”, offre dei break ritmici alla costante delicatezza dell’album.
Più elegiaco e sognante che mai, King Creosote offre in questo nuovo capitolo discografico alcune delle sue melodie più memorabili: dietro pagine malinconiche strappa un sorriso, e dona grazia a storie amare dove protagonista è la morte, esorcizzandola con un coro di bambini (“Bluebell, Cockleshell, 123”), per poi offrire nuove prospettive all’annoso dilemma dell’emigrazione con un chamber-folk di rara e commovente bellezza (“Miserable Strangers”).

In “From Scotland With Love” prevale la speranza, quella semplicemente tinta di folk scozzese di “Something To Believe In” e quella più energica di “Leaf Piece”, dove trasudano il sudore e la tenacia dei lavoratori, alle prese con terreni aridi e poco generosi.
Nell’appassionato duetto di “Cargill” il musicista osserva il destino dei marinai attraverso gli occhi pieni di ansia e speranza di una donna: storie di uomini lontani dalle loro famiglie, estenuati dal terrore di non ritornare a casa, vestita con un midtempo ricco di nostalgia che si archivia come una delle sue più belle intuizioni liriche.

Ma il momento più intenso dell’album è affidato al fervore politico e sociale di “Pauper’s Dough”, un potente crescendo corale dall'incedere fiero, che si staglia con forza sulle immagini e sulla musica, in un raro esempio di folk privo di dimensione temporale ma inesorabilmente legato alla voglia di riscatto e giustizia sociale, ed è giusto un attimo prima che le note di “A Prairie Tale” (la cui melodia è rubata all’iniziale “Something To Believe In”) calino il sipario, su un album che candida sempre di più King Creosote come il Sufjan Stevens scozzese, ovvero il più abile narratore delle tradizioni rurali e culturali di etnie in via d’estinzione. (3,5/5 voto mio)

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