Parole
di Michele Pizzi*
Frank Zappa amava sostenere che l’unica ragione per abbinare delle liriche alla sua musica fosse che “viviamo in una società dove la musica strumentale viene giudicata irrilevante”, concludendo che i suoi testi potevano essere classificati in tre sole categorie: “Quelli davvero stupidi, quelli appena meno stupidi e una minoranza semplicemente divertenti”.
Sarà, ma è così difficile credergli. Altrimenti perché avrebbe consumato la sua vita nel gioioso affanno di scrivere centinaia di ‘storie cantate’, straboccanti di doppi e tripli sensi, citazioni, rivisitazioni di materiale classico, persino soggetti teatrali. E che dire dei suoi spettacoli, in cui la parte ‘narrata’ degli immancabili siparietti diventa indiscutibilmente parte integrante e fondamentale dello show, concepito da Frank come ‘teatro musicale’ a tutto tondo fin dai tempi gloriosi e fecondi delle serate al newyorkese Garrick Theatre. La realtà dice che Zappa è stato, oltre che un geniale compositore e un vero “guitar hero”, un grande narratore di microstorie; un mirabile ritrattista dei protagonisti del suo quotidiano che, essendo lui animale decisamente ‘politico’, non potevano non essere anche e soprattutto i grotteschi e - fin troppo spesso - amaramente comici protagonisti delle istituzioni a stelle e strisce (politici, sindacati, associazioni) e del potere in genere (TUTTE le religioni comprese). La scrittura dei testi è per Zappa un ulteriore campo dove sperimentare le sue tecniche compositive: un mix continuo di registri alti e bassi, nei quali si associano indifferentemente riferimenti a letteratura e musica ‘colta’ (magistrale la sua personalissima riduzione dell’ Histoire du Soldat di Stravinsky in Titties & Beer) e (decisamente preponderanti) aspetti triviali. Zappa usa la parola come fondamentale ‘strumento’ per lanciare le sue provocazioni nei confronti di una società (quella americana) solo apparentemente liberata ma compressa, oppressa e (ai suoi occhi di fervente autodidatta) culturalmente ancorata a pregiudizi e stereotipi. Già nel 1980, anticipando i futuri, violenti contrasti con i censori dell’America Benpensante della commissione governativa guidata da Tipper Gore, Zappa poneva ai suoi interlocutori una domanda retorica: “Che te ne fai di una società così primitiva da aggrapparsi alla credenza che certe parole del suo linguaggio siano così potenti da corromperti nel momento stesso in cui le ascolti?”» La parabola artistica e umana di Zappa lo porta a confrontarsi continuamente con i grandi temi della modernità: la comunicazione, la sessualità, le convenzioni sociali. La politica come costante “critica praticata”. La musica come veicolo di cambiamento. La partecipazione come unica (o comunque più valida) forma di azione politica. I suoi testi diventano così una preziosa lente d’ingrandimento - talvolta volutamente deformante – che indaga e rivela quasi trent’anni di evoluzione/involuzione del costume, della comunicazione, della modalità di rapporto interpersonale, della musica stessa. Ciò che vi emerge è un moderno giullare acidamente compiaciuto, sempre un passo più avanti degli altri, a mostrarci inascoltato gli scenari del suo futuro, diventato rapidamente il nostro attuale presente. Leggerlo, per crederci!
È autore di “Frank Zappa for President, testi commentati (Arcana)”
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