Leonard Cohen - I'm Your Man (1988)

di Silvano Bottaro

"Sono nato così, non ho mai avuto scelta, sono nato con il dolore di una voce d'oro", canta Leonard Cohen nell'ultimo brano del disco, Tower Of Song, cronaca poetica e ironica del tormentato percorso che da Various Positions del 1984, il suo primo album "elettronico", l'ha portato a I'm Your Man. Nel mezzo, c'è stato Famous Blue Raincoat, in cui l'ex corista Jennifer Warnes ha interpretato le sue canzoni più celebri: un successo che ha rimesso Cohen sulla mappa della casa discografica di sempre, la Columbia.
I'm Your Man gode dunque di rinnovate attenzioni, non è più il solito disco del solito Cohen. E I'm Your Man non delude, fin dalle prime battute. L'inizio è bizzarro, forse provocatorio: batterie elettroniche e tastiere introducono a versi enigmatici che sanno di guerra: "Mi hanno condannato a vent'anni di noia, per aver tentato di cambiare il sistema dal suo interno. Sto tornando per ricompensarli, prima prendiamo Manhattan, poi prendiamo Berlino". E' possibile che sia un ironico accenno alla sua fortuna come musicista, tradizionalmente molto più europea che americana, ma in realtà il procedimento secondo il quale il poeta divenuto cantautore opera è di solito inverso: da una riflessione filosofica generale si arriva, sottrazione dopo sottrazione, riscrittura dopo riscrittura, semplificazione dopo semplificazione, a raccontare una storia d'amore. Almeno, questo è ciò che accade a Leonard Cohen nel pieno degli anni Ottanta, cinquantenne, fiaccato ma non distrutto da innumerevoli esperienze estreme (la vita sull'isola greca di Idra, vent'anni di attività discografica, un album prodotto da Phil Spector) che hanno avuto l'unico effetto di abbassargli ancora un po' la caratteristica voce da baritono. Ora, è chiaro che quando un veterano come lui, un uomo che ha esordito nel 1967 (e come poeta nel 1956), si avvicina al pop elettronico lo fa con una sorta di ammiccante autoironia. Non solo. L'elettronica, specialmente se applicata alla più classica canzone novecentesca non può che rafforzare l'individualismo del poeta che canta, sottolinearne la solitudine (I'm Your Man, appunto). Anche se poi - altro che voce d'oro - per portare a termine quest'album il vecchio maestro ci ha impiegato tre anni, consumando decine di taccuini d'appunti e riscrivendo quasi tutte le canzoni.

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