Violent Femmes - Violent Femmes (1983)
La variabile impazzita, l'eccentricità, la sorpresa che spiazza, che sfonda una porta. Senza bisogno di energia elettrica perché anche nel rock'n'roll esiste un'ecologia, un'idea di risparmio e di evitare sprechi inutili per cui il luogo comune less is more in questo caso è sacrosanto più che mai. Tanto è vero che quando uscì il primo disco delle Violent Femmes impazzirono tutti a cercare un riferimento, un modello a cui paragonare quel disco dalla meravigliosa copertina, un misto di innocenza e mistero, lo stesso che si sente nelle canzoni. Giocando tutte le carte possibili, dai Velvet Underground ai Modern Lovers, i tentativi furono infiniti, tutti giusti, nessuno corretto perché quella scheggia di puro genio era un bizzarro scherzo destinato a cambiare il corso della storia del rock'n'roll, mettendo in circolo il virus di un dubbio secondo il quale basta suonare sopra un catino rovesciato dal nome impossibile (tranceaphone) e tutta la prosopopea dell'industria discografica diventa in un colpo solo inutile, obsoleta, fallimentare. Da qualsiasi parte lo si prenda Violent Femmes suona ancora fresco, immediato, travolgente: l'assolo di basso di Brian Ritchie in Please Do Not Go, il folle crescendo di Gordon Gano in Add It Up, il violino in Good Feeling, il vibrafono in Gone Daddy Gone, il drumming minimalista di Victor DeLorenzo, quell'aria insieme sgangherata e travolgente, per cui basta un nulla per fare una rivoluzione. Obbligatorio, ed è da aggiungere anche Hallowed Ground, che non è da meno. (Mia valutazione: Buono)
(Marco Denti)
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