Angelique Kidjo – Remain In Light (2018)

Il capolavoro dei Talking Heads in versione world-beat è una sorpresa che non ci aspettavamo e mette in risalto quanto le influenze di artisti come Fela Kuti abbiano avuto importanza nella sua composizione, il tutto con il valore aggiunto della straordinaria voce della cantante beninese.

di Roberto Briozzo

Io il paradiso me lo immagino così: un mixer collegato a un sistema potentissimo che ti permette di giocare con le singole tracce degli strumenti dei tuoi dischi preferiti. Scegli un album o la canzone che vuoi e, togliendo cose o aggiungendone altre, ricrei il tuo mix secondo quello che ci senti dentro e, magari, in uno di quegli esperimenti ti capita di scoprire la vera natura del tuo artista del cuore. In una situazione del genere, con un disco come “Remain in Light” dei Talking Heads ci sarebbe davvero da divertirsi, considerando la fusione di stili che contribuisce alla sua unicità e quello che arriva a ciascun ascoltatore. Di certo l’influenza della musica afro-beat e di artisti come Fela Kuti ne costituiscono una componente così presente se basta livellare meglio certi passaggi strumentali e aggiungere qualche traccia per ottenere una versione world music altrettanto interessante. E se, come me, speravate che prima o poi qualcuno lo facesse, ecco che Angelique Kidjo finalmente ha esaudito le nostre preghiere.

A quasi quarant’anni di distanza dalla sua scrittura, “Remain in light” torna a far parlare di sé in una nuova veste. Ma l’ascoltatore attento non rimarrà sorpreso da una sequenza di brani suonati migliaia di volte, conosciuti a memoria e qui riproposti pedissequamente ma con priorità ribaltate. Gli strati di musica afro sono in cima, in netto rilievo rispetto all’intento originale nel quale la componente world risultava a cavallo tra un vezzo e un’ispirazione dotta, comunque qualcosa di più di un tributo culturale. Qui, nell’opera di Angelique Kidjo, resta la poliritmia, il funk è rivoltato come un calzino, il post punk scende di latitudine e, soprattutto, al posto della voce di David Byrne c’è quella gioiosa ed estatica dell’Africa.

Con il remake di “Remain in light” pubblicato da Angelique Kidjo non ci troviamo quindi di fronte a un mero album di cover. Le sezioni ritmiche costruite a tratti sulla base degli archetipi di Chris Frantz e Tina Weymouth sembrano moltiplicarsi e amplificare ogni battito e relativa pulsione che ne deriva. Le parti strumentali giocano a scomporre le armonie originali e a riallinearle secondo i canoni della world, gli stessi che hanno ispirato così tanto i Talking Heads durante il concepimento di questo disco e che qui fanno definitivamente outing in un tripudio di colori. Tutto il resto arriva dritto al cuore grazie alla luminosa timbrica della cantante beninese, la sua voce e il suo deciso quanto eccentrico modo di rappresentare se stessa e le sue radici.

Difficile dire, tra le tracce di questo inaspettato dono, quale sia la meglio riuscita grazie alla trasposizione geografica e temporale compiuta da Angelique Kidjo. Probabilmente gli episodi più movimentati (da “Born Under Punches” a “Houses in Motion”, passando per “Crosseyed and Painless”, “The Great Curve” e “Once in a Lifetime”) si sono prestati all’operazione in maniera più naturale anche se, attenzione, gli arrangiamenti sono sempre agli antipodi di una banalizzazione del contesto. Ma provate ad ascoltare il capolavoro di afro-dub con cui è stata resa “Seen and Not Seen” o il modo in cui sono stati allargati i confini all’immortale “Listening Wind”, per terminare con la versione rarefatta di “The Overload”, uno dei pezzi più cupi dei Talking Heads.

Resta il fatto che “Remain in Light”, nella versione di Angelique Kidjo, risulti un disco allo stesso tempo divertente, riflessivo, a tratti epico nel suo tentativo di incrementare il valore di un capolavoro secondo una visione globale ed ecumenica e decisamente riuscito. Non che l’originale abbia bisogno di restauri, ci mancherebbe. Ma più che a un remake ci troviamo di fronte a un’espansione, allo stesso modo in cui si valorizza un’opera d’arte ampliandone la portata attraverso un’estrusione di aspetti già presenti, senza intaccare il senso con cui è stata creata ma attraverso la costruzione di una più ampia dimensione interpretativa.



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