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Visualizzazione dei post da ottobre, 2024

Temples - Sun Structures (2014)

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di Stefano Macchi Punto primo: la dissonante sensazione di ammettere che la musica, per essere apprezzata e apprezzabile, possa anche essere scorrevole, piacevole, semplice, orecchiabile, radiofonicamente azzeccata è presente. Punto secondo: lo scetticismo del pre-ascolto, vuoi per la montatura creatasi attorno a una band che crea circuito comunicativo da inizio 2013 oppure per una sorta di continuo piacere al riciclo psichedelico di inizio anni Dieci è svanito. Punto terzo: i Temples sono una band valida. Lo sono perché nell'ascoltare il loro esordio "Sun Structures" su Heavenly Recordings emerge quel valore discografico da collettivo pronto ad affollare stadi e arene, per i giri armonici che s'incollano con estrema facilità alle pareti otorine, per le capacità melodiche del frontman James Edward Bagshaw: indubbiamente debitore delle composizioni indiane degli "scarafaggi", il giovane non pecca di presunzione, infilando uno dopo l'altro ri

Massimo Bubola - Ballate di Terra e d' Acqua (2008)

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di Silvano Bottaro Sono 11 i brani inseriti in "Ballate di Terra e d'Acqua", nuovo disco di Massimo Bubola. Undici canzoni legate da due elementi fondamentali per la nostra esistenza: la “Terra” e quindi le radici, la storia, la profondità e “l’acqua” e quindi la fluidità, il presente, la trasparenza. E’ un album sostanzialmente rock questo diciassettesimo lavoro di Bubola, risale, infatti, al 1976 il suo primo disco “Nastro giallo”. Non incline a compromessi, il cantautore veronese collaboratore storico di Fabrizio De Andrè, (con il quale ha scritto due bellissimi album: “Rimini” e “L’indiano” e canzoni famose come “Andrea”, “Fiume Sand Creek”, “Don Raffaé”, “Sally”, “Rimini”, “Franziska”) ha fatto della sua coerenza il suo marchio di fabbrica. Diritto per la sua strada ha sfornato una serie di dischi più o meno fortunati senza mai cadere nella morsa commerciale e anche questo disco, infatti, non scalerà (per fortuna) i primi posti delle classifiche di vendita.

Joe Henry - Invisible Hour (2014)

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di Fabio Cerbone Lungo viaggio attraverso le parole e l'anima di Joe Henry, Invisible Hour è quello che si potrebbe facilmente definire il personale stream of consciusness del folksinger americano, insomma quel famigerato "flusso di coscienza" che dal padre James Joyce a Van Morrison si è spesso trasposto anche nella musica popolare, con risultati "astrali". L'idea non è forzata, a patto certo di distinguere linguaggi e stili, che nel caso di Henry significano una forma di ballata elegante e scarna al tempo stesso, una perfezione quasi formale raggiunta dal suo modo di cantare, mai troppo lodato eppure riconoscibilissimo, e di raccontare i versi, tra schegge acustiche e delicate decorazioni degli strumenti a fiato. Divenuto un po' esteta di se stesso, questo va detto, l'artista di Pasadena - dove per quattro giorni alla fine di luglio del 2013 è stato inciso il nuovo ciclo di brani - rivendica la particolarità di Invisible Hour, un album assai in

Gentle Giant - Octopus (1973)

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Tutto inizia quando, ad inizio degli anni '60, i tre fratelli Shulman, Derek, Phil e Roy mettono su una band: sono scozzesi di Glasgow, ma il padre, che suonava la tromba in un gruppo amatoriale dopo lavoro, si trasferì con loro neonati a Portsmouth, nel 1948. I tre fratelli Shulman formano uno dei primi gruppi inglesi di rock\ r'n'b, Simon Duprèe & The Big Sound (Simon Duprèe è lo psudonimo di Derek). La band riuscì ad andare in tour e a evolvere il proprio sound, fino a raggiungere un discreto successo, entrando nella classifica inglese con il brano musicale Kites, da un album bellissimo, Without Reservation, e per un certo periodo suonò con loro un giovanissimo pianista, Reginald Dwight, che qualche anno dopo cambiò nome d'arte in Elton John e sappiamo come andò a finire. Nel 1969 sciolgono il gruppo e si organizzano, sull'eco della nascente musica progressive, a fondere le loro idee con il jazz, la musica classica, il folk in un modo del tutto unico e caratt

Frankie Hi-Nrg mc

Tra i personaggi saliti alla ribalta durante la stagione dell'hip-hop italiano e delle posse nei primi anni '90, Frankie Hi-Nrg (vero nome Francesco Di Gesù, 1969) si distingue fin dagli inizi per la profondità e l'amara ironia della liriche, l'approccio colto e contemporaneamente disincantato al linguaggio del rap, e un eclettismo che lo porta nel corso degli anni ad abbracciare anche una carriera da regista. Discografia e Wikipedia

California Girls - The Beach Boys (1965)

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Anya Butler era una ragazza inglese che si era fatta tutta l'America in autostop per arrivare a Los Angeles e diventare, a tutti gli effetti, una California girl. Il suo scopo, all'inizio, era far conoscere My Generation agli americani. Si era portata dietro un po di copie del singolo e aveva cominciato a fare il giro delle radio. Allora era molto diverso da adesso, poteva persino capitare che una ragazza inglese chiedesse a una radio di trasmettere un disco e si ritrovasse dietro a un microfono, a condurre un programma. Erano i tempi pionieristici delle emittenti, erano i tempi in cui le agazze che parlavano americano con accento inglese andavano per la maggiore. (M. Cotto - da Rock Therapy)

Laura Marling - Patterns in Repeat (2024)

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 di Giuliano Delli Paoli Nell'intervista concessaci a ridosso dell'uscita di "Songs For Our Daughter", Laura Marling ci aveva raccontato sentitamente del suo tempo in mutazione, tra il desiderio di diventare per la prima volta madre e le letture preziose dei racconti di Robertson Davies, Ottessa Moshfegh e Alison Bechdel. E anche del suo nuovo studio di registrazione domestico, epicentro fisico ed emotivo delle sue canzoni. Una rinnovata consapevolezza dei propri anni e in generale della vita, intesa anche come itinerario di un viaggio imprevedibile, che la cantautrice inglese ripone al centro di "Patterns In Repeat", ottavo album giunto dopo la più lunga pausa discografica in oltre quindici anni di carriera. Registrato ancora una volta nello studio di casa e coprodotto da Dom Monks, con l'ulteriore assistenza agli archi di Rob Moose, "Patterns In Repeat" concentra definitivamente lo sguardo materno della musicista londinese, che due anni fa ma

Mary Gauthier - Trouble & Love (2014)

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di Nicola Gervasini Ci vuole anche una certa non comune abilità nel rifare sempre la stessa canzone, nel cantarla sempre con lo stesso tono lento e strascicato, nell'adottare sempre lo stesso concetto di arrangiamento minimale (chitarra che arpeggia, batteria che accarezza e non batte mai, un piano che contrappunta, un violino che segue la melodia e pochissime altre variazioni) e nel rimanere uguale a sé stessa nonostante il passaggio di diversi e capaci produttori (Joe Henry, Gurf Morlix). Ci vuole la bravura di Mary Gauthier per non sbagliare mai veramente disco, nemmeno quando magari il concept del progetto un po' sovrastava il songwriting come nel precedente The Foundling. Ma con Trouble & Love non ci sono distrazioni: otto canzoni per 38 minuti di musica, e davvero paiono le solite otto canzoni già sentite in grandi titoli come Mercy Now o Between Daylight and Dark, ma, chissà perché, poi ogni volta ognuna sembra sempre nuova, irrinunciabile, talmente intensa da ri

Billy Bragg - Mr.Love & Justice (2008)

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di Silvano Bottaro Dopo sei anni di silenzio torna in studio Mr. Billy Bragg, classe 1957. Se la caratteristica principale di B.B. sono le canzoni marcatamente “sociali”, è infatti, uno dei songwriter più politicizzati della scena musicale inglese, in questo lavoro Bragg predilige brani più intimi e personali. Sembra, infatti, che in questo album voglia volgersi indietro per trarre alcuni bilanci della sua vicenda umana e artistica. Billy ha preparato una dozzina di canzoni veramente interessanti, nello stile a lui più congeniale quello “bragghiano”; il suo personale stile caratterizzato da tre elementi fondamentali: brevità, testi chiari e arrangiamenti assolutamente semplici. L’iniziale “ Keep faith ” è il puro esempio di quanto detto, ed è la canzone-manifesto di un nuovo corso della carriera del musicista inglese. Anche “ You make me brave ” e “ If you ever leave ”, sembrano rivelare l’aspetto più intimo e riflessivo di Bragg. Non più quindi canzoni dichiaratamente politiche

Jolie Holland - Wine Dark Sea (2014)

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di Marco Boscolo C’è un luogo della musica americana che oggi solo Jolie Holland riesce ad abitare. Non che siano mancati i precedenti illustri, come per esempio il Nick Cave dei Grinderman o il Tom Waits più polveroso e ingrugnito. Ma la cantautrice texana, come nessun altro oggi, fa rilucere di abbagli nerissimi e profondi la materia sonora che risulta dallo stritolare nelle sue corde vocali dotatissime e duttilissime l’americana, il blues, il folk, il country, il jazz. Insomma: il Sud in versione New Orleans in spasmo gotico. Ascoltate le chitarre del singolo Dark Days (che dà l’atmosfera a tutto il disco): mai così elettriche, mai così grasse, mai così “importanti” e necessarie. Wine Dark Sea scontenterà chi ha ascoltato superficialmente la Holland finora, ritrovandosi confortato da una reinterpretazione della tradizione americana che si configurava – apparentemente – come una rilettura colta, condita di elementi jazz e cantautoriale, di una solida sicurezza. Quasi una coper

Bright Eyes - Five Dices, All Threes (2024)

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 di  Liam Gentileschi I Bright Eyes sembrano essere tornati veramente. Dopo un più che florido periodo di attività tra il 1998 ed il 2011, durante il quale la ciurma capitanata da Conor (Mullen) Oberst ci ha regalato nove album in studio e all’incirca altri trenta lavori fra live album, compilation, box set, extended plays e collaborazioni varie, la band si è presa ben nove anni per tagliare quel fatidico traguardo del decimo album in studio. Lo hanno fatto i Beatles nel ‘69 con “Yellow Submarine”. Lo hanno fatto i Metallica con “Hardwired…To Self-Destruct” nel 2016. Lo avrebbero fatto un anno dopo i Foo Fighters con “Medicine At Midnight”. I Bright Eyes ci riescono nel 2020 con “Down In The Weeds, Where The World Once Was”, un album criptico, dai toni più malinconici rispetto ai precedenti (non che Oberst abbia mai avuto una spiccata indole indirizzata alla scrittura di testi gioiosi), con una minuziosa ricerca negli arrangiamenti dei brani che lo compongono, nei quali la scelta di ne

Ivano Fossati

Tra le figure più carismatiche e intense della moderna canzone d'autore italiana, Ivano Fossati nasce a Genova il 21 settembre 1951. Nell'adolescenza si appassiona al rock proveniente da Inghilterra e Stati Uniti e impara da autodidatta a suonare la chitarra, ma è grazie alla sua rudimentale conoscenza del flauto che riesce a entrare diciannovenne nei Saggitari, gruppo jazz. Discografia e Wikipedia

Lady D'Arbanville - Cat Stevens (1970)

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Patti D'Arbanville ha una meravigliosa cascata di capelli biondi e un corpo che sa di erba fresca e di limone. Abita a Londra, lavora come modella, ha il mondo in mano. Una sera, trascinata dalle amiche, va a una festa nella villa di campagna di sir William Brown. Quando entra, pensa di morire all'istante. Ci sono Eric Clapton, Stevie Winwood, Jimmy page, Ginger Baker e tutta la crema che sta incendiando Londra in quegli anni d'oro del rock. Patti è timidissima, è felice di avere davanti i suoi idoli, ma allo stesso tempo vorrebbe scappare via. Ha il terrore che qualcuno si avvicini a lei e di restare muta davanti a loro, così si avvicina all'unico ragazzo che sta in disparte. (M. Cotto - da Rock Therapy)

Neil Young - On the Beach (1974)

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Neil Young nel 1974 è ormai un artista pienamente affermato: arrivato dal Canada in California quasi dieci anni prima, nel 1966, attraversa da protagonista la grande stagione del rock californiano, quello legato alla tradizione del folk, che si riafferma dopo la spettacolare, e breve, stagione psichedelica a cavallo tra i due decenni,'60 e '70. Young è protagonista con i Buffalo Springfield, con il più famoso supergruppo degli anni '70, Crosby, Stills, Nash & Young e con la sua parallela attività da solista, che ha inizio nel 1969 quando pubblica il suo prima album a suo nome, Neil Young. È stato anche il fondatore di due gruppi, i Crazy Horse, dall'animo più rock ed elettrico, e gli Stray Gators, più country folk. alternando i due gruppi. Dopo l'uscita dal quartello con David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash, con cui rimane in bellissimi rapporti, nel 1972 pubblica il disco più famoso della stagione folk rock: Harvest (1972) che con le sue canzoni famose an

Conor Oberst - Upside Down Mountain (2014)

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di Gabriele Benzing A zig-zag verso la luce. In fondo è tutto qui il percorso attraversato da Conor Oberst nei suoi ultimi dieci anni di carriera: frammentario, sfuggente, eppure sempre proteso verso qualche lampo nell’ombra, proprio come suggerisce il titolo di uno dei brani più emblematici del nuovo “Upside Down Mountain”. Era il 2004 quando i Bright Eyes scalavano le classifiche di Billboard con la memorabile accoppiata di singoli tratti da “I’m Wide Awake, It’s Morning” e “Digital Ash In A Digital Urn”. A un decennio di distanza, Oberst sembra ritrovarsi con un grande avvenire dietro le spalle: lasciata da parte (definitivamente?) la sua più fortunata ragione sociale, non sono bastate a riportarlo ai fasti dell’era Saddle Creek un paio di altalenanti prove soliste, né la partecipazione al supergruppo Monsters Of Folk. Così, ormai convolato a nozze e dismessi i panni ingombranti dell’iperprolifico enfant prodige, Oberst decide di affrontare la sfida più difficile: quella di mi

Robbie Robertson – Omonimo (1987)

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di Silvano Bottaro Sangue indiano nelle vene, il Canada come paese natale e una credibilità conquistata tra le fila della “Band”. Quando decide di entrare in studio per registrare il “suo” disco, Robbie Robertson aveva masticato rock per quasi tre decenni. Nel 1965 aveva accompagnato Dylan in uno dei tour più discusso della storia. Da allora, la sua vicenda era rimasta strettamente legata a quella dell’uomo di Duluth: insieme alla Band aveva registrato album di capitale importanza come “Music from Big Pink” e preso parte alle memorabili session di “The Basement Tapes”. Nella Band era punto di riferimento, ma la presenza di vocalist d’eccezione come Levon Helm, Richard Manuel e Rick Danko gli aveva spesso impedito di interpretrare lui stesso le canzoni che scriveva. Dal giorno dell’addio della Band, documentato da un capolavoro musical-cinematografico intitolato “The Last Waltz” (1976), Robertson ha atteso undici anni prima di pubblicare il suo primo, vero lavoro solista. “Non av

Yann Tiersen - ∞ (Infinity) (2014)

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By Achab Il polistrumentista bretone Yann Tiersen, uno dei più importanti compositori in attività, è sempre stato un instancabile sperimentatore di soluzioni musicali e di linguaggi sonori: nel corso della sua carriera è infatti passato dal minimalismo alle colonne sonore (celeberrima è quella de Il favoloso mondo di Amélie), dalla classica contemporanea a forme più vicine alla canzone, da suggestioni folk al post-rock venato di elettronica degli album Dust Lane e Skyline. (Per un più ampio discorso sull’itinerario artistico di Tiersen, e sul suo affrancamento dall’essere solo “quello di Amélie”, si rimanda a questo live report, pubblicato su queste pagine poco meno di due anni fa.) Con la sua ultima fatica in studio, ∞ (Infinity), il Nostro prosegue il suo percorso di ricerca, con un lavoro che – pur recuperando e rielaborando alcuni elementi della sua precedente produzione – si rivela un nuovo, originalissimo tassello della sua inesauribile creatività. Per inquadrar

The Smile - Cutouts (2024)

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 di Giovanni Davoli Possiamo anche smettere d’invocare il ritorno dei Radiohead. Che poi torneranno pure, almeno finché Yorke e Greenwood stanno così a palla e ispirati. E sarò curioso di vedere cosa un loro nuovo disco ci porterà che non ci abbiano già portato tre dischi dei The Smile negli ultimi 29 mesi. Recensendo il precedente “Wall of Eyes” mi spingevo a dire che la band è la “più importante di questi anni ’20”. Quel che non ha mancato di suscitare l’ironia di qualche “collega” che li ritiene sopravvalutati. Mentre sono felice di essere letto da chi ha la mia stessa ossessione per le parole applicate alla musica, non starò certo a replicare. Alla fine, queste parole che verghiamo per descrivere ciò che amiamo sono soggettive, come ogni parola d’amore.  E io non riesco a non amare anche The Smile oltre a, ovviamente, i Radiohead. E’ un piacere sentire i nostri due geniacci così a loro agio in questo nuovo outfit. Accompagnati soltanto (si fa per dire) da Tom Skinner, uno dei migli

Alberto Fortis

Alberto Fortis nasce a Domodossola nel 1955, e si avvicina alla musica da adolescente suonando la batteria in un complessino, i Paip's, che si esibisce nei locali del Sestriere. Passato allo studio del pianoforte, si trasferisce a Roma a metà degli anni '70 con l'intenzione di diventare un cantautore rock, sulle orme di Lucio Battisti ma anche di Bob Dylan e dei Beatles. Discografia e Wikipedia

Yellow Submarine - The Beatles (1966)

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Niente a che vedere con l'Lsd, come molti ipotizzarono. Una semplice (ma bellissima) canzone per bambini, una filastrocca che Paul McCartney scrisse a letto, una sera, dopo essere stato influenzato dalla dylaniana Rainy Day Woman #12 & 35 , che due settimane prima era entrata in classifica. Dylan aveva utilizzato una band di ottoni per ottenere un suono stile Esercito della salvezza a lasciato spazio al divertimento. McCartney pensò a un procedimento simile, che prevedesse molti effetti sonori. Con gli altri Beatles entrò nei magazzini degli studi di Abbey Road e fece razzia di trombette, fischietti, tubi di gomma, catene, campanelli. Si divertirono molto. (M. Cotto - da Rock Therapy)

Gillian Welch and David Rawling - Woodland (2024)

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 di Fabio Cerbone  Il tempo dell’attesa è ormai una rarità nel mondo contemporaneo, a maggior ragione nella musica, schiacciata dal qui e subito dell’era dello streaming. Nel caso di Gillian Welch e David Rawlings, coppia delle meraviglie del folk americano, è invece un prezioso alleato per aumentare l’aura di sacralità intorno alle loro uscite discografiche, uno dei pochissimi esempi di forza artistica che corre di pari passo con il gesto della stessa composizione musicale, centellinata con la pazienza di un artigiano che scolpisce e incava il legno, materiale del cui profumo terrigno e antico sembrano fatte le ballate del duo. A tredici anni da The Harrow and The Harvest, l’ultimo album di materiale originale della coppia, e accreditandosi per la prima volta in carriera con entrambi i nomi (era avvenuto soltanto con l’album di cover e tradizionali del 2020, All the Good Times Are Past & Gone) Welch e Rawlings condividono più che mai in profondità gli alti e bassi vissuti in tempi

The Antlers - Familiars (2014)

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Quarto album per i The Antlers. “Familiars” dimostra quanto la formazione newyorkese sia cresciuta nel corso degli anni. Un percorso artistico che li ha visti plasmare un sound elegante, al limite tra dream pop e folk, e dare alle stampe album come “Hospice” e “Burst Apart”, che si collocano di diritto tra i dischi più interessanti degli ultimi anni. Oggi il progetto di Peter Silberman pubblica il suo disco più bello, in cui le ambizioni pop presenti nei due lavori precedenti, vengono filtrate da un suono ancor più sofisticato e godibile. È un barlume malinconico di note al velluto capaci di colpirti nel profondo; canzoni incantevoli che sembrano immerse nell’azzurro del cielo. Tutto fragile come il cristallo. Tutto pronto a sgretolarsi da un momento all’altro. Le composizioni di Familiars sono dipinti sonori di nostalgia sognante: Palace, Director, Revisited, Refuge, sprofondano in abissi di malinconia. Doppelganger, Hotel, Parade, restano sospese come nuvole. Una lentezza solenne

Nick Cave & The Bad Seeds - Dig, Lazarus, Dig! (2008)

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di Silvano Bottaro Non vive certamente sugli allori il nostro Nick Cave se nel giro di dodici mesi riesce a pubblicare tre album. Dopo il progetto “Grinderman”, la colonna sonora di “The Assassination Of Jesse James”, è uscito poche settimane fa “Dig, Lazarus, Dig!” assieme ai suoi fedeli "Semi Cattivi". Tre dischi diversi uno dall’altro. Se l’estemporaneo “Grinderman” sembrava uscito dall’atmosfera che si crea in una serata tra amici in cui l’alcol fa da padrone, nella colonna sonora di “The assassination…”, Cave sembra smaltire i postumi della sbornia riposandosi e rinunciando alle parole, ai suoi testi che invece in questo “Dig, Lazarus, Dig!” sono molto presenti, forse troppo. “Volevo fare un disco acustico però grezzo, dove tutti picchiassero sui loro strumenti anziché suonarli semplicemente. Tanti anni fa avevo già cercato una via del genere, ai tempi di Henry's Dream; ma il progetto mi era scappato di mano, era venuto un album troppo elettrico, troppo ro

Swans - To Be Kind (2014)

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di Michele Saran Altro doppio disco altra corsa. A Michael Gira, patron assoluto e onorario degli Swans, non bastava “The Seer”, il colosso fatto di colossi che tanto fece parlare di sé due anni or sono. E’ ora la volta di “To Be Kind”, nuovo disco-mostro che prosegue la saga del progetto con i medesimi ingredienti del predecessore. Stavolta la voglia di stupire il ritrovato pubblico di vecchi e nuovi fan sembra però prevalere sull’ispirazione. L’iniziale “Screen Shot” è anche il brano programmatico: andatura boogie-blues, litania scandita, fiacco saltarello gotico, crescendo verso un “tutti” chitarristico. Queste caratteristiche si ritrovano più o meno modulate nelle restanti parti. Il talking-blues sonnolento e letargico di “Just A Little Boy”, con tanto di voce invecchiata ad arte, di quando in quando prende slancio e forza, ma anche in questi brevi momenti è una pallida copia delle sfuriate di trent’anni fa. “A Little God In My Hands”, funk surreale Nick Cave-iano, di nuovo

Snow Patrol - The Forest Is the Path (2024)

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 di  Angela Denise Laudato Avevamo lasciato gli Snow Patrol sei anni fa, con l’album “Wildness” per ritrovarli oggi con un ottavo lavoro, “The Forest is the Path”, prodotto da Fraser T Smith (Adele/Dave/Stormzy): “Un album che affonda le sue radici nella riflessione, nell’introspezione e nell’interrogazione” – dichiara Gary Lightbody, frontman della band – e che sviscera “l’idea dell’amore a distanza di tempo”. In tutta la loro carriera gli Snow Patrol (oggi il trio è composto da Gary Lightbody, Johnny McDaid e Nathan Connolly) hanno intrecciato in musica canzoni d’amore e perdita. Ma il nuovo album “The Forest is the Path” passerà sicuramente alla storia come il più onestamente vulnerabile e il più infelice. Difficile scrivere di una band che ritrova da circa trent’anni il favore del pubblico. Anche in questo nuovo lavoro risultano prosaici, seguono le stesse progressioni di accordi lenti e mutevoli, creando quella maestosa andatura da stadio arricchita da chitarre sbuffanti, tastiere

Formula 3

Celebre soprattutto per essere stata l'unica band ad avere accompagnato Lucio Battisti, la Formula 3 rimane negli annali del pop italiano anche per una manciata di buoni dischi pubblicati in proprio all'inizio deli anni '70, ancora oggi molto considerati dagli amanti del progressive in salsa mediterranea. Il gruppo si forma nel 1969 dall'unione del chitarrista Alberto Radius, proveniente dai Quelli. Discografia e Wikipedia

E T I C H E T T E

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