The Magnolia Electric Co. - The Magnolia Electric Co. (2003)

Iniziamo da questo disco, con un gufo disegnato da William Schaff, artista che ha creato molte copertine della famosa etichetta indipendente Jagjaguwar, soprattutto quelle degli Okkervil River (che sono stati protagonisti di una Storia di Musica). Il gufo ha due mani extra, nella posizione tipico dell'iconografia del Cristo, davanti al fiore di una magnolia che è illuminata come una lampadina. Perchè Jason Molina, l'autore delle canzoni, aveva appena inaugurato con questo disco un nuovo progetto chiamato The Electric Magnolia Co. Tra parentesi, nelle prime edizioni del disco non vi era una precisa definizione del titolo sia della band che del disco. Questo perchè Molina fino ad allora aveva firmato i suoi lavori, di un maturo, dolente e romantico cantautorato, con il soprannome di Songs:Ohia, sin dal 1996, quando pubblicò il suo primo lavoro indipendente di un certo rilievo, dallo stesso titolo (che i fan ribattezzeranno Black Album). Molina si circonda di un gruppo di musicisti amici, che a rotazione lo aiutano nei successivi lavori. Molina è eclettico, spazia dall'indie-rock al country, al punk-rock, collabora con gli scozzesi Arap Strap con cui registra a Glasgow e nel 2000 pubblica The Lioness, a cui segue un tour europeo in piccoli locali, dal quale fu registrato un live, Mi Sei Apparso Come Un Fantasma, titolo che suggerisce che fu registrato in Italia, al Barchessone Vecchio di Mirandola, Modena, nel settembre del 2000. L'album successivo, Didn't It Rain, è il suo migliore: osannato dalla critica, vede il suo avvicinamento al blues, in un mix ancora per certi versi indecifrabile, ma dal fascino unico e particolare.

Idea che trova massima espressione nel disco di oggi. Molina per The Magnolia Electrc Co. va a Chicago in un completo studio di registrazione, sotto le cure maniacali e precise del rimpianto Steve Albini (a cui aveva dedicato un brano nel disco precedente, Steve Albini's Blues). Lo accompagnano Jennie Benford, che lo accompagna in due brani alla voce e suona il mandolino, Mike Brenner alla steel guitar, "Three Nickel" Jim Grabowski piano e organo, Dan Macadam al mandolino e Dan Sullivan alle chitarre, Rob Sullivan al basso e Jeff Panall alla batteria. Jason Molina si avvicina al blue collar blues, sicuro e in denim, con non lontani gli echi dei margini oscuri della città, nel quartiere di Bruce Springsteen, John Mellencamp e Bob Seger. Però la sua è anche un'emozione musicale alla Neil Young, a cui la sua voce qui spesso assomiglia, anche nella semplicità e nella facilità con cui gli strumenti acustici si mischiano con quelli elettrici. Questo è un disco che è pensato "più da band" tanto è che non solo Jennie Benford lo aiuta nel canto, ma ci sono due ospiti che prendono il suo posto: Lawrence Peters che da manuale del country canta The Old Black Hen,  e la voce delicata e dolente di Scout Niblett, conosciuta nel periodo a Glasgow, in Peoria Lunch Box Blues. Molina è  sbalorditivo in John Henry Split My Heart  Just Be Simple, delicatissima e sognante e nella cupa chiusura di Hold On Magnolia, che si avvale dell'aiuto di chitarra slide, violino e un ritmo ondeggiante per creare un'atmosfera dolceamara e meravigliosa. Ma la vera perla è la canzone che apre il disco, divenuta in seguito un piccolo classico del mondo della musica indie: Farewell Transmission ha la leggenda che fu registrata in una singola registrazione, al primo giorno, con Molina che, come un band leader jazz, impartisce solo delle piccole indicazioni di base al resto dei musicisti che gli vanno dietro come in un incantesimo magico, quasi a  simboleggiare reale la sintonia da ultimo giorno dell'umanità che la canzone racconta (In the sirens and the silences now\All the great set up hearts\All at once start to beat).

Anche The Magnole Electric Co. è un successo di critica, Molina è un artista consolidato ma confinato in un ambito marginale del mondo musicale. Eppure dopo il live del tour di questo disco, Trials & Errors, che esce nel 2005 (e dove omaggia chiaramente Neil Young e i Crazy Horse) inizia una lunga serie di dischi annuali, molto interessanti, fino al 2009, con Josephine. Da quel momento, inizia a soffrire di gravi problemi di salute, dovuti soprattutto al suo alcolismo cronico, che lo porteranno ad una tragica morte nel 2013, a 39 anni. Destino simile ad altri due geni dolenti della musica americana indipendente, come Elliot Smith o Vic Chesnut, una triade meravigliosa e formidabile di cantautorato creativo, vibrante per quanto dolente, ma sicuramente emozionante.

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