Kozmic Blues - Janis Joplin (1969)
Una canzone nata all'improvviso, una delle poche scritte da Janis Joplin, bravissima nel fare suoi brani altrui, ma che raramente si è cimentata nella composizione. Viene alla luce in studio, durante una pausa.
Il produttore Gabriel Mekler si mette al pianoforte e comincia a suonare. Janis intravede una luce e si butta dal terzo piano per trovarla ancora accesa. Fuor di metafora, comincia a improvvisare parole, a raccontarsi.
Alla fine, quello che viene fuori è un testo bellissimo e autobiografico («ho 25 anni, adesso...»), un riassunto del dolore attraversato e delle fatiche superate, con la consapevolezza che il peggio non è passato, ma che vale comunque la pena tentare. È la musica a dare la direzione, è la musica a fare da bussola: potente, energica, con un ritornello che pare esplodere. Quando Janis attacca il primo verso del chorus è come se tutto il dolore esplodesse e cambiasse segno, per trasformarsi nel suo contrario.
Kozmic Blues (Janis volle la «K» per attutire il senso di malinconia cosmica, perché «la vita, a volte, va presa alla leggera») è una delle canzoni cui Janis è più legata. La esegui in ogni stato d'animo e in ogni condizione fisica: allegra, esaltata, partecipe, commossa, triste, devastata, ubriaca, strafatta, speranzosa.
Parte con il solito pessimismo, la consueta cupa visione del suo cammino, che però si addolcisce verso dopo verso: «Time keeps movin' on / Friends they turn away / I keep movin' on / But I never found out why / I keep pushin' so hard the dream / I keep tryin' to make it right» («Il tempo scorre / gli amici voltano le spalle / io continuo ad andare avanti / anche se non ho mai capito perché / continuo a rincorrere così duramente il sogno / cerco di fare andar bene le cose»). Poi, la meraviglia assoluta del ritornello: «Oh! But it don't make no difference, babe, hey, / And I know that I could always try. / There's a fire inside everyone of us, / You'd better need it now, / I got to hold it, yeah, / I better use it till the day I die» («Ma non fa differenza / e so che potrò tentare ancora. / C'è un fuoco dentro ognuno di noi / ne avresti bisogno adesso / lo terrò acceso / lo userò fino al giorno della mia morte»).
Un testamento, sì.
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