Pata Pata - Miriam Makeba (1989)
Della sua voce, Harry Belafonte, che prese in prestito molte sue canzoni, disse che «era profonda come l'oceano indiano e brillante come i diamanti della sua terra». Miriam Makeba, o «Mama Africa», come la chiamavano tutti, è però qualcosa di più di una grande cantante. E anche il simbolo di una terra, il Sudafrica, piagata e piegata ma non spezzata dall'apartheid, terra da cui fu esiliata nel 1959, anno nel quale venne presentato alla Mostra del cinema di Venezia il documentario Come Back Africa, dove lei, protagonista, denunciava soprusi e violenze. Da allora, ha cominciato a portare in giro per il mondo la sua voce, una musica che è alle radici del rock 'n' roll da sempre, l'amore per la sua terra e l'odio per il razzismo.
Io ero presente al Radio City Music Hall di New York, il 18 aprile 1988, giorno del suo primo concerto nella Grande Mela dopo vent'anni di divieti ed esilio.
Sul palco con lei, Hugh Masekela, un altro grande artista sudafricano, e il cast di Sarafina!, lo straordinario musical che celebra la musica di strada di Soweto e la speranza sempre accesa di un domani senza barriere razziali. Quando Miriam Makeba, a piedi nudi, sali sul palco, ci fu un boato di intensità spaventosa ad accoglierla. Pochi i fazzoletti asciutti nella sala, compreso quello di Paul Simon, seduto al mio fianco e meritorio protagonista, con Graceland, della rivalutazione del suono africano.
Finito l'apartheid, Miriam Makeba ha potuto concludere il suo esilio e andare a piangere sulla tomba di sua madre, come non le era stato permesso di fare in trent'anni. Poi, a lungo in marcia per i concerti, che concludeva puntualmente con Pata pata («Tocca tocca» in lingua Xhosa), nome di una danza tradizionale del Sudafrica e suo più grande successo. A parlare di se stessa, della sua musica, della sua vita. Fino alla fine, avvenuta sul palco, dono di pochi ambito da tutti: morire sul posto che per tanti anni ti ha dato la vita. (M. Cotto - da Rock Therapy)
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