Cate Le Bon - Michelangelo Dying (2025)

di Silvano Bottaro

Cate Le Bon non si è avvicinata al suo settimo album con una grande dichiarazione in mente. Piuttosto, si è ritrovata attratta da una singola immagine: una donna sola in una stanza drappeggiata con tessuti e specchi che catturano la luce. Quel senso di strascico, la peculiare chiarezza che emerge una volta che la polvere si è finalmente depositata, si insinua in ogni angolo di Michelangelo Dying. Le Bon scrive dall'interno della nebbia della confusione, cercando di catturare quell'attimo sfuggente in cui la lotta cede il passo a qualcosa di simile al riposo.

Avendo trascorso la maggior parte del tempo a produrre per altri artisti, Le Bon non aveva ancora elaborato appieno la rottura che la stava consumando. Quando finalmente è uscita nuova musica, ha affrontato l'amore e il dolore con un'onestà senza precedenti. Quello che era iniziato come un seguito più spigoloso di Pompeii si è trasformato completamente quando la sua relazione di lunga data si è dissolta insieme ai suoi sogni nel deserto. Michelangelo Dying è ciò che accade quando la necessità emotiva si fa strada nella stanza, sconvolgendo tutti i tuoi piani migliori.

Il disco che ne risulta esplora ciò che Le Bon definisce "un dolore che si scaglia contro la propria impermanenza": quel crudele paradosso del desiderio di guarigione mentre vi si oppone, intrappolato tra l'impulso di andare avanti e la tentazione di aggrapparsi. 

Dal punto di vista della produzione, si percepiscono echi delle texture vellutate dei Roxy Music dell'era Avalon, ma filtrate attraverso una lente più intima. Anche il lavoro di chitarra di Bowie degli anni '80 è presente, non come un'affermazione audace ma come atmosfera; accordi che indugiano nell'aria come fumo anziché fenderla. Le texture che Le Bon ha affinato da Reward e Pompeii finalmente sbocciano qui: chitarre e sassofoni deformati in nuove forme, voci che brillano e si dissipano come foschia. Tracce del morso teatrale di Kate Bush, della freddezza di Nico e del calore cibernetico di Laurie Anderson si mescolano, senza mai mettere in ombra il tocco distintivo di Cate Le Bon.

L'art-pop di Michelangelo Dying è abbastanza saggio da trattenersi quando necessario. Nella voce di Le Bon, fredda e leggermente elaborata, si può sentire quel dolore ossessionante in "Body As a River", una canzone che affronta la peculiare vergogna che le donne sono indotte a provare per il desiderio di autonomia. Le Bon canta come se si stesse confessando e consolando al tempo stesso, ogni nota un piccolo atto di sopravvivenza.

L'album si sviluppa con un ritmo lento e naturale. Inizialmente, può sembrare quasi vaporoso, ma la sua ricchezza materica premia la pazienza; a ogni ascolto emergono nuovi strati, come la luce che si muove nell'acqua in diversi momenti della giornata. Una voce in cui ogni crepa lascia trasparire la luce. Questo album non parla di una catarsi travolgente, ma di imparare a vivere ciò che ci si lascia alle spalle. Alla nota finale, Le Bon non ha offerto alcuna soluzione, ma qualcosa di più duraturo: il lento e luminoso lavoro di andare avanti.

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