I'm Waiting For The Man - The Velvet Underground (1967)
Vincent Cassel si riempiva sempre le tasche di noccioline. Quando i fan diventavano troppo invadenti, gliele lanciava addosso e diceva: «Ecco, ora fate voi le scimmiette». Questa storia sarebbe piaciuta a Lou Reed, che non ha mai amato il circo del rock 'n' roll. Lou era un'anima nera e candida allo stesso tempo. Camminava sul lato selvaggio, ma preservava una purezza assoluta nei confronti delle storie di strada che raccontava. Lou si immergeva nella sporcizia ma non ne rimaneva contaminato. Era come un angelo con le scarpe pesanti e il giubbotto di pelle.
I'm Waiting for the Man è una short story metropolitana condotta a ritmo di rock 'n' roll, con un suono sporco, ossessivo e percussivo e un piano in stile barrelhouse che diffonderà echi fino alla Detroit di Stooges e Mc5. Contenuta nell'opera prima del 1967, The Velvet Underground & Nico, racconta il viaggio di un tossico che si avventura ad Harlem, all'incrocio tra Lexington e la Centoventicinquesima strada («Up to Lexington, one, two, five») per incontrare «il suo uomo», ovvero lo spacciatore: vestito di nero, scarpe da portoricano e un grosso cappello di paglia («he's all dressed in black / Beat up shoes and a big straw hat»).
Il ragazzo ha 26 dollari in mano («Twenty-six dollars in my hand»), è sporco, si sente male ed è più morto che vivo («Feel sick and dirty, more dead than alive»), ma disposto ad accettare qualsiasi cosa, perché il suo uomo non arriva mai in anticipo ed è sempre in ritardo («He's never early, he's always late»). Lo spacciatore lo porta al terzo piano di una casa («up three flights of stairs»), gli fa assaggiare l'eroina («gives you sweet taste») e gliela vende, regalandogli la tranquillità fino all'indomani. Perché il giorno seguente sarà la stessa storia: lui ricomincerà ad aspettare lo spacciatore, il uo uomo. Disposto a tutto, pur di vederlo arrivare, empre in ritardo, mai in anticipo.
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