Ziggy Stardust - David Bowie (1972)
Con Ziggy Stardust David Bowie realizza il suo capolavoro. Non solo perché arriva a confezionare uno dei riff più importanti nella storia del rock, non solo perché musicalmente lucida una gemma di superbo splendore, ma anche perché racconta la parabola del Messia che sale in alto e poi scende in un arco di tempo molto ridotto.
È, in sintesi, un modo come un altro per portare in scena il concetto di Andy Warhol: «Ognuno ha diritto a un quarto d'ora di celebrità». Bowie esorcizza così una paranoia, quella che lui possa essere il Messia che balla per una sola stagione. Anche in questo è geniale: sceglie di essere quello che non vorrebbe mai diventare, una meteora. Alieno sì, ma capace di durare. Poi, con la stessa velocità con cui l'ha messo al mondo, gli confeziona la bara: Bowie si allontana da Ziggy e vola verso un nuovo travestimento, un altro personaggio, Aladdin Sane. Sulla faccia si disegna un fulmine, una scarica elettrica. Invece di essere illuminato da una luce, ecco il lampo.
Per il personaggio di Ziggy, Bowie si ispira a quattro persone. La prima è Vince Taylor, un musicista magrissimo e affascinante che nel 1959 aveva inciso Brand New Cadillac, poi riletta dai Clash, e che aveva aperto le porte al rock 'n' roll in Gran Bretagna; in seguito a un forte esaurimento nervoso e all'assunzione eccessiva di droghe allucinogene, si era convinto di essere un messaggero di Dio sulla terra e lo aveva apertamente dichiarato sul palco. La seconda è Legendary Stardust Cowboy, strambo cantante psychobilly di Lubbock, Texas. Il terzo riferimento è Gene Vincent, sfortunato rocker devastato nel fisico in seguito all'incidente dove aveva perso la vita Eddie Cochran. La quarta influenza è un designer giapponese di nome Kansas Yamamoto. Dal finestrino di un treno Bowie legge il nome di una sartoria, Ziggy Stardust. Il gioco è fatto, la leggenda pure.
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