Talk Talk - Laughing Stock (1991)

A vent’anni, nel 1975, su consiglio del fratello manager, Mark Hollis forma a Londra i The Reaction: un solo singolo in pieno stile punk, I Can’t Resist, per la neonata e poi leggendaria etichetta Island nel 1978, ma zero successo. Poteva finire qui, ma l’estro e la caparbietà di Hollis disegneranno una parabola musicale tra le più particolari e bizzarre della storia della musica, che dal punk arriverà al disco di oggi. Con Paul Webb, bassista, Simon Brenner alle tastiere e Lee Harris alla batteria formano un gruppo, i Talk Talk, con il chiaro intento di essere i nuovi Duran Duran (da cui prendono la ripetizione nel nome). Diventano quindi alfieri del pop new romantic: firmano per la EMI e nel 1982 il primo disco, The Party’s Over, che ha discreto successo. Molto meglio va il secondo tentativo: It’s My Life del 1984 contiene l’omonimo singolo, che diventerà una delle canzoni del decennio pop (nel 1996 una cover dei No Doubt di Gwen Stefani venderà milioni di copie negli Stati Uniti) e anche Such A Shame, altra canzone simbolo del pop degli anni ‘80. Brenner si chiama fuori, e i Talk Talk incontrano il produttore e musicista Tim Friese-Green: è la svolta. The Colour Of Spring che esce nei primi mesi del 1986 ha venatura quasi progressive, innesti di organo, melodie delicate che sono un bel passo avanti rispetto al synth pop dei dischi precedenti, e stavolta il successo è altissimo, con ben 21 settimane di permanenza del disco nella Top 20 inglese. Ma Hollis ha in mente passi ulteriori rispetto all’idea di musica che vorrebbe fare: dopo 14 mesi di ripensamenti, registrazioni, idee abortite e riprese, nel 1988 i Talk Talk pubblicano Spirit Of Eden: una musica sperimentale influenzata da progressive rock, jazz e ambient, una session band di 17 musicisti con l'utilizzo di strumenti usati solitamente nella musica classica, una prima traccia di 23 minuti divisa in 3 movimenti. Per la EMI fu uno shock, tanto che chiese a Hollis di registrare nuovo materiale, ritenendo il disco di scarso appeal commerciale. Hollis rifiutò, e la disputa finì addirittura in tribunale. Il disco, senza un singolo e nessuna pubblicità fu un flop. Ma Hollis, lo avete capito, è un caparbio, e si rimette al lavoro: trova sponda in un contratto con la mitica Verve Records, uno dei Templi del Jazz, e dopo mesi di autoisolamento, dopo che il solo Harris è rimasto con lui, nel 1991 pubblica Laughing Stock. Atmosfere rarefatte che si rifanno ai maestri della musica ambient, composizioni che rimandano alla musica classica e al jazz di Coltrane di Ascensions e Meditations, a Ornette Coleman e la sua musica destrutturata, una cura dei momenti di silenzio, delle aggiunte musicali che nello stesso anno degli Slint piantano il seme del post rock. Laughing Stock ha 6 brani, meravigliosi, che oltre le definizioni dei generi, sono autentici capolavori: si inizia con il silenzio di 30 secondi, interrotto dal fruscio di un amplificatore, di Myrrhman, con la voce triste di Hollis, che assomiglia tantissimo a quella di Peter Gabriel, la sua chitarra impressionista, archi delicati e misteriosi. Ascension Day è il lato selvaggio: il 7\4 della ritmica sa di improvvisazione jazz, gli impulsi della chitarra di Hollis cantano di disperazione e di malinconia (Bet I’ll be damned/ Built the debt I turned twos up today", “Kill the bed/ I’ll burn on Judgement day), e si chiude con un marasma sonoro fatto di piatti che si scuotono, caos primordiale, una alluvione sonora che di colpo finisce interrompendosi prima di After The Flood, con il suo organo prezioso, la ritmica jazzy e un ritornello, spietato e triste come forse lo è l’animo di Hollis: Shake my head/ Turn my face to the floor/ Dead to respect, to respect to be born/ Lest we forget who lay. Taphead è un misterioso e avvolgente tappeto sonoro, che lascia poi il campo a New Grass, la perla della scaletta: il tempo particolare dei 3/8, poche note disegnate con la sua chitarra all’infinito, un pianoforte sospeso nel pentagramma, piccoli spunti di organo, un disegno musicale che sa di rinascita, di luce in un disco che nasconde dietro la sua delicatezza un profondo vuoto, una corsa senza soluzioni di continuità tra luce e ombra, tra cadere e rialzarsi. Chiude la stupenda Runeii, omaggio al minimalismo. Nonostante la mancanza di un singolo, il disco è un grande e inaspettato successo. I Talk Talk si sciolgono subito dopo questo disco: Harris e Webb si accosteranno all’elettronica nel 1994 con gli .O.Rang. e avranno moltissime collaborazioni in questo ambito. Mark Hollis dopo anni di silenzio, si getta nell’ennesimo esperimento musicale: nel 1998 pubblica il suo unico disco solista, intitolato Mark Hollis, che avrà critiche estremamente positive dalla stampa specializzata. Si ritira però quasi definitivamente appena dopo la pubblicazione, tranne qualche comparsa in lavori altrui, sporadicamente. Nel 2019, dopo una breve malattia, all’età di 64 anni Hollis muore: in quel momento si riaccende l’interessa per la sua strana creatura musicale, i dischi ritornano in classifica (sebbene su Spotify) e nel Novembre dello stesso anno ci sarà un concerto tributo, molto sentito, al Royal Festival Hall di Londra, dove in molti sentiranno il bisogno di ricordare uno dei più bizzarri musicisti degli ultimi 30 anni, uno dei papà del post rock.

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