Meg Baird - Furling (2023)

di Gianfranco Marmoro

A volte capita che l’immaginario della musica folk entri prepotentemente nel percorso della storia del rock. Sono episodi fugaci ma che lasciano il segno, anche se spesso le cronache tendono a oscurarne il valore. Nonostante tutto, sono in molti quelli che non hanno dimenticato l’esordio di Greg Weeks, Meg Baird e Brooke Sietinson sotto il nome di Espers. Mentre si avvicina il ventennale della sua uscita, l’estatica e incontaminata purezza dell’esordio della folk-band americana non ha perso un briciolo di fascino. Nel frattempo, Greg Weeks ha scelto la carriera di professore d’inglese mentre di Brooke Sietinson si sono perse le tracce; solo Meg Baird è ancora in prima linea, nonostante una carriera discografica discontinua eppur non priva di delizie. A partire dall’esordio solista del 2007, “Dear Companion”, la cantautrice americana ha ridimensionato le pretese, affidando a ballate tanto misurate quanto ispirate una carriera non priva di alti (“Seasons On Earth”) e bassi (“Don't Weigh Down The Light”), prima di un silenzio durato sette anni, appena violato da un progetto in coppia con Mary Lattimore.

“Furling” è un disco che apre un nuovo capitolo per Meg Baird. L’impenetrabilità del minimalismo folk sfuma verso sonorità più disinvolte e dai tratti psichedelici e jazzy, che onorano la tradizione di Linda Perachs e Joni Mitchell.

Composte prima del forzato lockdown, le nove tracce hanno man mano preso corpo e forma, impregnandosi di nuovi umori e preziose rifiniture. Strano a dirsi, “Furling” è l’album musicalmente più ricco di Baird e nello stesso tempo il più autarchico: l'unico contributo è quello offerto dal fido Charlie Saufley, già partner nel progetto Heron Oblivion (gruppo collaterale di due membri dei Comets On Fire: Noel Von Harmonson e Ethan Miller).

Non è facile spiegare cosa rende quest’album insolito, diverso, ma è ad ogni modo percepibile nel canto più accorato, nel corposo e vellutato intreccio di percussioni e riverberi chitarristici o nel susseguirsi di accordi non proprio ordinari, nonostante la materia prima restino le lande folk e psichedeliche stile Mazzy Star, che da sempre ossessionano l’artista americana.

Alle cristalline e indolenti note della chitarra acustica Meg Baird allega, esoterismi, atmosfere malinconiche e il suono del pianoforte, protagonista indiscusso di almeno un paio di episodi. Il risultato è un ipnotico groove folk-psych che l’autrice, nel primo capitolo dell’album, “Ashes, Ashes”, fa volteggiare per oltre sei minuti senza pronunciar parola, ricamandone l’ardore romantico con vocalizzi e brevi accenni di chitarra elettrica, piano e clavicembalo, dettando così i canoni del progetto.

“Furling” è un album che vive di echi, di risonanze. A volte esse sono frutto della natura - come il suono delle raganelle o il fruscio degli alberi registrati durante le prime session nei Louder Studios nell’affascinante cornice della Sierra Nevada – occasionalmente sono invece conseguenza delle tante strade percorse dall’artista – le collaborazioni con Chris Forsyth, Steve Gunn, Bill Callahan, Kurt Vile etc..

Le canzoni hanno spesso l’ardore dei classici, vuoi per l’abile orchestrazione chitarristica della magica ballata noir “Star Hill Song”, o della suadente e struggente poesia di “Twelve Saints” che profuma di pioggia e luccichii di stelle. Anche le tracce apparentemente più ordinarie hanno una forte personalità: canzoni soffuse, sorrette da una batteria appena spazzolata (“Unnamed Drives”), o cosmiche liturgie chitarristiche che sembrano catturare il respiro che lega la terra al cielo (“The Saddest Verses”).

C’è molto di cui gioire, in “Furling”: Meg Baird cattura l’aspra bellezza del folk più ancestrale nella splendida ballata per chitarra e voce “Cross Bay” (brano già pubblicato due anni fa per raccogliere fondi per i senza tetto) e affonda le mani nel pop nell’esuberante “Will You Follow Me Home?”, al fine di dare una scossa all’immaginazione e poter esternare una varietà di emozioni e sentimenti.

Come tutti i dischi che oltrepassano i confini di genere anche “Furling” è un collage di assortite melanconie, algide ed estatiche (“Ship Captains”), spirituali e confessionali (“Unnamed Drives”) e infine oscure e quasi ostili (“Wreathing Days”).

E’ comunque l’album più intenso e ambizioso della cantautrice americana, un progetto da non consumare come sottofondo. Queste nove canzoni hanno un’urgenza e una vitalità che non potevano restare confinate nella struttura chitarra e voce.

Il prossimo passo di Meg Baird sarà quello di trasformare tanta bellezza in un corposo live set, ma prima che ciò accada lasciatevi catturare dal miglior biglietto da visita di questo nuovo anno.

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