Tom Rush – Voices (2018)
Tom Rush a 77 anni suonati non ha ancora perso la voglia di fare musica, anzi, è stato più attivo negli ultimi dieci anni che nei precedenti trenta. Grande cantautore, protagonista dell’età d’oro del folk revival degli anni sessanta e poi del folk-rock, ha attraversato quella decade in prima linea con una serie di dischi e canzoni che risultano belli ancora oggi (la sua No Regrets è giustamente considerata un classico, anche se i suoi album erano spesso suddivisi tra brani suoi e di altri. Dalla metà degli anni settanta fino al nuovo millennio Tom sembrava quasi essersi ritirato: pochi dischi e profilo bassissimo, fino al suo ritorno sulle scene nel 2009 con l’ottimo What I Know, seguito a distanza di quattro anni dal bellissimo live celebrativo 50 Years Of Music. Ora Tom torna tra noi con Voices, prodotto come What I Know dall’esperto Jim Rooney (80 anni, un altro giovanotto), ed il risultato è ancora meglio che nel lavoro di nove anni fa. Rush per la prima volta scrive tutte le canzoni di suo pugno, tranne un paio di traditionals che ha inserito “per non compromettere la mia reputazione di folksinger” (come ha scherzosamente scritto nelle liner notes del CD), e sono canzoni una più bella dell’altra, nel suo tipico stile tra folk e country, che rendono Voices il suo disco più bello dagli anni settanta ad oggi.
Tom ha ancora una bella voce, solo leggermente arrochita dagli anni, ed è ancora in grado di scrivere canzoni belle, profonde ed intense, basate principalmente sul suono della sua chitarra: un disco di cantautorato classico, come si usava fare una volta. Per impreziosire ulteriormente il tutto, Rooney ha messo a disposizione del nostro una superband, con nomi che solo a leggerli c’è da leccarsi i baffi: Al Perkins al dobro, Sam Bush al mandolino, Dave Pomeroy al basso, Richard Bennett alle chitarre, il meno conosciuto (ma bravissimo) Matt Nakoa al piano ed organo, e le backing vocals di Kathy Mattea e Suzy Ragsdale. Il disco inizia con un traditional, Elder Green (che poi è la nota Alabama Bound con parole diverse), una sorta di folk-grass vivace e dal ritmo sostenuto, con un ottimo intreccio strumentale tra dobro, banjo e mandolino. Come See About Me è una deliziosa folk ballad, cantata in maniera calda e suonata in punta di dita, con il dobro di Perkins grande protagonista, doppiato abilmente dal pianoforte di Nakoa; molto bella My Best Girl (canzone d’amore dedicata alla sua…chitarra!), pimpante, tersa e contraddistinta da una melodia squisita e parti strumentali strepitose, puro pickin’ di gran classe, mentre Life Is Fine è cadenzata e decisamente orecchiabile, con qualcosa che rimanda allo stile di John Prine (che viene anche citato nel testo), ed un’aria scanzonata e solare: un avvio che conferma che Tom è in forma smagliante, e che non siamo davanti ad una stanca prova da parte di una vecchia gloria.
Cold River, country song limpida, è nuovamente azzeccata dal punto di vista melodico, specie nel refrain, mentre Far Away è splendida, una toccante ballata dal motivo perfetto, semplice ma di grande effetto, ed il solito lussuoso accompagnamento da parte della band: sembra di tornare indietro di cinquant’anni, grande canzone. Heaven Knows (But It Ain’t Tellin’) è un irresistibile ed ironico bluegrass, in cui Tom un po’ parla un po’ canta, mostrando di divertirsi non poco, Corina, Corina è il famoso traditional che hanno fatto in mille, ed il nostro rispetta la sua origine country-blues sfoderando la consueta classe, mentre la breve If I Never Get Back To Hackensack è un altro strepitoso e coinvolgente pezzo in bilico tra folk e country, di impatto immediato come tutti i brani di questo CD (davvero, non ce n’è uno sottotono). Purtroppo il disco volge al termine, ma c’è tempo ancora per la vibrante Going Down To Nashville, fulgido esempio di cantautorato doc e suonata in modo splendido, la sorprendente How Can She Dance Like That?, il pezzo più elettrico, quasi un rock’n’roll, davvero trascinante (grande pianoforte, e spunta pure un sax), e la conclusiva Voices, uno slow di grande intensità e cristallina bellezza, pura poesia musicale. Non ho idea se Voices sarà l’ultimo lavoro per Tom Rush, ma quello che è certo è che si tratta di un grande disco, senza dubbio alcuno.
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