Ben Howard – Noonday Dream (2018)

di Valentina Natale

Ben Howard è un caso più unico che raro nel panorama folk inglese. Chitarrista dotato di una tecnica sopraffina capace di raggiungere un successo improvviso e inaspettato con una manciata di EP e due album (“Every Kingdom” e “I Forget Where We Were”) che sono riusciti a mettere d’accordo pubblico e critica, scalando a sorpresa le classifiche britanniche tra una nomination (al Mercury Prize) e un premio anzi due (i Brit Awards vinti nel 2013). Fatta la storia, Ben Howard avrebbe potuto dormire sonni tranquilli. Invece ha scelto di non accontentarsi.

Il ragazzino sorridente di “Every Kingdom” è cresciuto ormai ed è diventato più avventuroso. “Noonday Dream”, l’album numero tre uscito ad inizio giugno, è un lungo sogno ad occhi aperti registrato tra la Cornovaglia e il sud della Francia in cui Howard sembra voler allargare ulteriormente i suoi orizzonti musicali. L’etichetta folk è ormai riduttiva per un artista che cerca di ampliare gli stretti confini del genere, senza paura né pregiudizi.

Rinunciando alla semplicità per giocare con gli arrangiamenti, alternando chitarra elettrica e acustica tra ballate di frontiera (“Towing the Line”, “What the Moon Does”) e momenti più sperimentali (“The Defeat”, “Nica Libres At Dusk”). Nasconde spesso la voce Ben Howard: la camuffa, la distorce, usa il vocoder per rendere più duro e incisivo quel timbro dolce e carezzevole che in tanti avevano lodato cercando di trasformare il ragazzo di Londra in una pop star (l’anti Ed Sheeran per eccellenza) ruolo che non ha mai voluto interpretare.

Conferma di essere un racconta storie di razza in un disco di grande atmosfera che non cerca di eguagliare l’equilibrio instabile tra folk d’autore e briciole di pop raggiunto in “Every Kingdom” e “I Forget Where We Were” (era difficile farlo del resto) anzi se ne allontana il più possibile. Sfidando l’ascoltatore con le sue melodie oblique, il tono ora soffuso ora tagliente mai sopra le righe, mai eccessivo. Non arriverà in classifica “Noonday Dream” ma è un sogno surreale che vale la pena di fare. Soprattutto d’estate quando si può rallentare il ritmo, lasciarsi cullare dal sole di mezzogiorno e dalle note di “Agatha’s Song”.

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