Storia della musica #27

 I cantautori degli anni ’70

Se Bob Dylan rappresenta l’archetipo del cantautore anni ’60, politicamente e socialmente impegnato ed idealista, suono spoglio e fortemente ancorato al folk tradizionale, destinato ad arricchirsi e mutare, certo, ma comunque semplice e terreno, James Taylor e Jackson Browne rappresentano i cantautori-tipo degli anni ’70: le tematiche sociali si ripiegano sull’individuo (in un momento di forte confusione come quello post-hippie), il suono resta semplice ma si affina, si screzia di jazz come era già successo e succederà durante i ’70 nei dischi di un’autrice che spesso viene affiancata ai primi due: Joni Mitchell.

Si tratta di pezzi dal suono levigato e dal ritmo calmo e posato, ballate in cui piano e chitarra ai alternano come accompagnamento centrale e spesso si fanno fiancheggiare da violini e violoncelli creando un’atmosfera quasi cameristica.

Il lavoro che lancia questa nuova ondata di cantautori, all’interno della quale trovano posto numerosi artisti dei tardi ’60 come Joni Mitchell e Cat Stevens, è “Sweet Baby James” di James Taylor (1970), disco che in partesegue il filone ormai avviato del revival country-folk.

Un revival sui cui solchi traccerà la sua intera traiettoria artistica John Denver, probabilmente il più popolare cantautore degli anni ’70 (almeno sotto il profilo commerciale), in stato di grazia in un disco del 1974 come “Back Home Again”.

Sempre nell’ambito della tradizione si colloca la musica di quei cantautori che vengono ricompresi sotto la definizione di Heartland Rock: fenomeno della seconda metà dei ’70 che comprende autori come Bruce Springsteen, Tom Petty, John Mellencamp e Bob Seger, caratterizzati da un generale recupero delle sonorità rock’n’roll filtrato dall’influenza di figure centrali del folk come Van Morrison e Bob Dylan.

Del non-movimento la vera gemma è proprio Springsteen: fin dall’esordio del 1973 “Greetings From Asbury Park, N.J.” si rivela portavoce dell’america middle-class ed erede ideale di Dylan e del Van Morrison più rock, accostabile al primo per la prosa eccelsa, accostabile al secondo per l’intensa vena melodica: una vena che si contamina di rhythm’n’blues stonesiano e jazz quando in “The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle”, del 1973, viene affiancato dalla E Street Band ( dal nome della strada in cui viveva il tastierista David Sancious). Alla notorietà presso il grande pubblico arriva con il disco successivo, “Born to Run” (1975)cui seguono capolavori come “Darkness On The Edge Of Town” e lo spoglio e commovente “Nebraska”.

Se la nuova ondata di cantautori anni’70 si apre con “Sweet Baby James” è col meditabondo e filosofico “Late for the Sky”(1974) che viene consacrato uno dei più dotati songwriter del suo tempo, quel Jackson Browne che insieme a Taylor e alla Mitchell viene solitamente citato nella “triade sacra” degli anni ’70.

Un caso a parte il genio che anima i dischi di Tom Waits, esordiente nel 1973 con “Closing Time”, autore poi di una trilogia a fine ’70 (“Small Change”, “Foreign Affari” e “Blue Valentine”) in cui una voce a metà tra Louis Armstrong e Captain Beefheart si lancia in recital beat, ballate pianistiche ubriache e spezzacuori e jive indemoniati su note bebop; svolta musicale ed ulteriore capolavoro nel 1985 con “Rain Dogs”, centro di una nuova trilogia , la cosiddetta “trilogia di Frank”.

Altro eccentrico è Randy Newman: se però Waits ama strisciare tra le sonorità di bassifondi e bettole fumose, Newman preferisce muoversi tra le luci di Broadway e le celebri strade della Tin Pan Alley, pur non disdegnando rhythm’n’blues, ragtime, lo swing ed il suono delle jug band: di quegli autori, in particolare dei vari Gershwin, Kern e PorterNewman è l’erede ideale, come dimostrato nel capolavoro “12 Songs”(1970).

Erede del Dylan più caustico è Warren Zevon, già autore storico per i Turtles e amico di Browne, che fa del suo peggio nel disco omonimo 1976 con pezzi dalla raffinata vena melodica e dal tono bilioso e amaro; dalla figura di Joni Mitchell discendono invece Joan Armatrading e Rickie Lee Jones, riprendendone la scrittura sofisticata ed aristocratica: la seconda, in particolare, al debutto omonimo nel 1979, atmosfere notturne e sofisticate che riportano alla mente Laura Nyro va a chiudere un decennio che, ancor più di quello precedente, aveva messo le basi e creato un modello insuperabile per tutto il rock cantautoriale degli anni a venire.

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