Post

Joe Henry - Invisible Hour (2014)

Immagine
di Fabio Cerbone Lungo viaggio attraverso le parole e l'anima di Joe Henry, Invisible Hour è quello che si potrebbe facilmente definire il personale stream of consciusness del folksinger americano, insomma quel famigerato "flusso di coscienza" che dal padre James Joyce a Van Morrison si è spesso trasposto anche nella musica popolare, con risultati "astrali". L'idea non è forzata, a patto certo di distinguere linguaggi e stili, che nel caso di Henry significano una forma di ballata elegante e scarna al tempo stesso, una perfezione quasi formale raggiunta dal suo modo di cantare, mai troppo lodato eppure riconoscibilissimo, e di raccontare i versi, tra schegge acustiche e delicate decorazioni degli strumenti a fiato. Divenuto un po' esteta di se stesso, questo va detto, l'artista di Pasadena - dove per quattro giorni alla fine di luglio del 2013 è stato inciso il nuovo ciclo di brani - rivendica la particolarità di Invisible Hour, un album assai in

Gentle Giant - Octopus (1973)

Immagine
Tutto inizia quando, ad inizio degli anni '60, i tre fratelli Shulman, Derek, Phil e Roy mettono su una band: sono scozzesi di Glasgow, ma il padre, che suonava la tromba in un gruppo amatoriale dopo lavoro, si trasferì con loro neonati a Portsmouth, nel 1948. I tre fratelli Shulman formano uno dei primi gruppi inglesi di rock\ r'n'b, Simon Duprèe & The Big Sound (Simon Duprèe è lo psudonimo di Derek). La band riuscì ad andare in tour e a evolvere il proprio sound, fino a raggiungere un discreto successo, entrando nella classifica inglese con il brano musicale Kites, da un album bellissimo, Without Reservation, e per un certo periodo suonò con loro un giovanissimo pianista, Reginald Dwight, che qualche anno dopo cambiò nome d'arte in Elton John e sappiamo come andò a finire. Nel 1969 sciolgono il gruppo e si organizzano, sull'eco della nascente musica progressive, a fondere le loro idee con il jazz, la musica classica, il folk in un modo del tutto unico e caratt

Frankie Hi-Nrg mc

Tra i personaggi saliti alla ribalta durante la stagione dell'hip-hop italiano e delle posse nei primi anni '90, Frankie Hi-Nrg (vero nome Francesco Di Gesù, 1969) si distingue fin dagli inizi per la profondità e l'amara ironia della liriche, l'approccio colto e contemporaneamente disincantato al linguaggio del rap, e un eclettismo che lo porta nel corso degli anni ad abbracciare anche una carriera da regista. Discografia e Wikipedia

California Girls - The Beach Boys (1965)

Immagine
Anya Butler era una ragazza inglese che si era fatta tutta l'America in autostop per arrivare a Los Angeles e diventare, a tutti gli effetti, una California girl. Il suo scopo, all'inizio, era far conoscere My Generation agli americani. Si era portata dietro un po di copie del singolo e aveva cominciato a fare il giro delle radio. Allora era molto diverso da adesso, poteva persino capitare che una ragazza inglese chiedesse a una radio di trasmettere un disco e si ritrovasse dietro a un microfono, a condurre un programma. Erano i tempi pionieristici delle emittenti, erano i tempi in cui le agazze che parlavano americano con accento inglese andavano per la maggiore. (M. Cotto - da Rock Therapy)

Laura Marling - Patterns in Repeat (2024)

Immagine
 di Giuliano Delli Paoli Nell'intervista concessaci a ridosso dell'uscita di "Songs For Our Daughter", Laura Marling ci aveva raccontato sentitamente del suo tempo in mutazione, tra il desiderio di diventare per la prima volta madre e le letture preziose dei racconti di Robertson Davies, Ottessa Moshfegh e Alison Bechdel. E anche del suo nuovo studio di registrazione domestico, epicentro fisico ed emotivo delle sue canzoni. Una rinnovata consapevolezza dei propri anni e in generale della vita, intesa anche come itinerario di un viaggio imprevedibile, che la cantautrice inglese ripone al centro di "Patterns In Repeat", ottavo album giunto dopo la più lunga pausa discografica in oltre quindici anni di carriera. Registrato ancora una volta nello studio di casa e coprodotto da Dom Monks, con l'ulteriore assistenza agli archi di Rob Moose, "Patterns In Repeat" concentra definitivamente lo sguardo materno della musicista londinese, che due anni fa ma

Mary Gauthier - Trouble & Love (2014)

Immagine
di Nicola Gervasini Ci vuole anche una certa non comune abilità nel rifare sempre la stessa canzone, nel cantarla sempre con lo stesso tono lento e strascicato, nell'adottare sempre lo stesso concetto di arrangiamento minimale (chitarra che arpeggia, batteria che accarezza e non batte mai, un piano che contrappunta, un violino che segue la melodia e pochissime altre variazioni) e nel rimanere uguale a sé stessa nonostante il passaggio di diversi e capaci produttori (Joe Henry, Gurf Morlix). Ci vuole la bravura di Mary Gauthier per non sbagliare mai veramente disco, nemmeno quando magari il concept del progetto un po' sovrastava il songwriting come nel precedente The Foundling. Ma con Trouble & Love non ci sono distrazioni: otto canzoni per 38 minuti di musica, e davvero paiono le solite otto canzoni già sentite in grandi titoli come Mercy Now o Between Daylight and Dark, ma, chissà perché, poi ogni volta ognuna sembra sempre nuova, irrinunciabile, talmente intensa da ri

Billy Bragg - Mr.Love & Justice (2008)

Immagine
di Silvano Bottaro Dopo sei anni di silenzio torna in studio Mr. Billy Bragg, classe 1957. Se la caratteristica principale di B.B. sono le canzoni marcatamente “sociali”, è infatti, uno dei songwriter più politicizzati della scena musicale inglese, in questo lavoro Bragg predilige brani più intimi e personali. Sembra, infatti, che in questo album voglia volgersi indietro per trarre alcuni bilanci della sua vicenda umana e artistica. Billy ha preparato una dozzina di canzoni veramente interessanti, nello stile a lui più congeniale quello “bragghiano”; il suo personale stile caratterizzato da tre elementi fondamentali: brevità, testi chiari e arrangiamenti assolutamente semplici. L’iniziale “ Keep faith ” è il puro esempio di quanto detto, ed è la canzone-manifesto di un nuovo corso della carriera del musicista inglese. Anche “ You make me brave ” e “ If you ever leave ”, sembrano rivelare l’aspetto più intimo e riflessivo di Bragg. Non più quindi canzoni dichiaratamente politiche

Jolie Holland - Wine Dark Sea (2014)

Immagine
di Marco Boscolo C’è un luogo della musica americana che oggi solo Jolie Holland riesce ad abitare. Non che siano mancati i precedenti illustri, come per esempio il Nick Cave dei Grinderman o il Tom Waits più polveroso e ingrugnito. Ma la cantautrice texana, come nessun altro oggi, fa rilucere di abbagli nerissimi e profondi la materia sonora che risulta dallo stritolare nelle sue corde vocali dotatissime e duttilissime l’americana, il blues, il folk, il country, il jazz. Insomma: il Sud in versione New Orleans in spasmo gotico. Ascoltate le chitarre del singolo Dark Days (che dà l’atmosfera a tutto il disco): mai così elettriche, mai così grasse, mai così “importanti” e necessarie. Wine Dark Sea scontenterà chi ha ascoltato superficialmente la Holland finora, ritrovandosi confortato da una reinterpretazione della tradizione americana che si configurava – apparentemente – come una rilettura colta, condita di elementi jazz e cantautoriale, di una solida sicurezza. Quasi una coper

Bright Eyes - Five Dices, All Threes (2024)

Immagine
 di  Liam Gentileschi I Bright Eyes sembrano essere tornati veramente. Dopo un più che florido periodo di attività tra il 1998 ed il 2011, durante il quale la ciurma capitanata da Conor (Mullen) Oberst ci ha regalato nove album in studio e all’incirca altri trenta lavori fra live album, compilation, box set, extended plays e collaborazioni varie, la band si è presa ben nove anni per tagliare quel fatidico traguardo del decimo album in studio. Lo hanno fatto i Beatles nel ‘69 con “Yellow Submarine”. Lo hanno fatto i Metallica con “Hardwired…To Self-Destruct” nel 2016. Lo avrebbero fatto un anno dopo i Foo Fighters con “Medicine At Midnight”. I Bright Eyes ci riescono nel 2020 con “Down In The Weeds, Where The World Once Was”, un album criptico, dai toni più malinconici rispetto ai precedenti (non che Oberst abbia mai avuto una spiccata indole indirizzata alla scrittura di testi gioiosi), con una minuziosa ricerca negli arrangiamenti dei brani che lo compongono, nei quali la scelta di ne

Ivano Fossati

Tra le figure più carismatiche e intense della moderna canzone d'autore italiana, Ivano Fossati nasce a Genova il 21 settembre 1951. Nell'adolescenza si appassiona al rock proveniente da Inghilterra e Stati Uniti e impara da autodidatta a suonare la chitarra, ma è grazie alla sua rudimentale conoscenza del flauto che riesce a entrare diciannovenne nei Saggitari, gruppo jazz. Discografia e Wikipedia

E T I C H E T T E

Mostra di più