Storia della musica #58

La rivincita dell’easy listening

Il rock fin dalle sue origini si sviluppa all’insegna della contaminazione, essendo nato come fusione tra generi differenti ed essendosi evoluto nel corso dei decenni proprio grazie alla sua capacità di inglobare linguaggi musicali e generi anche lontani, con un tasso sempre più spinto dagli anni ’70 del progressive in poi. A lungo però tale contaminazione si era posta dei paletti, legati a tabù inespressi nei confronti di generi e stili che ideologicamente stridevano con la logica tendenzialmente antagonista del rock, in particolare tutto un insieme di suoni ed autori che erano considerati parte di quell’establishment tradizionalista cui il rock si contrapponeva per natura, oltre a una serie di generi, come la lounge, che erano considerati semplicemente kitsch, appartenenti alla “classe inferiore” della muzak, musicaccia buona al massimo per i supermercati ed i film di serie b.

Negli anni ’90, però, qualcosa cambia: c’è una caduta definitiva delle barriere tra generi, in parte grazie ai vari tipi di crossover e alle sperimentazioni del post rock, in parte per la penetrazione progressiva anche tra il pubblico cosiddetto alternativo di una vena onnivora e fagocitante nata con la diffusione dell’uso dei samples, anche grazie agli stili che da sempre su quelle tecnologie prosperano, hip hop e downtempo in primis. Ben presto molte di quelle sonorità, fino ad allora aborrite, cominciano a contaminare le produzioni rock ed elettroniche, creando un fenomeno trasversale di recupero che comincia a comparire timidamente nei primi anni ’90 ed esplode definitivamente nella seconda metà del decennio attraversando post rock, pop, indie più o meno elettronico e downbeat.

Lo swing, la tropicalia e la bossa (vale a dire pop anni ‘60 e jazz  brasiliano), i suoni latini di tango, flamenco, samba e cha cha cha,  l’easy listening (exotica, space age pop, lounge), il pop più classico americano (Bucharach, Spector, Hazelwood) e francese (Gainsbourg, Jane Birkin, Francoise Hardy), le scorribande sonore tra beat, bossa e classica delle colonne sonore di  Barry, Morricone, Umuliani, Trovaioli e Ortolani sono solo alcuni dei suoni toccati ed inglobati da questo fenomeno. Un fenomeno di cui è difficilissimo tenere il filo, poiché oltre che essere universale sotto il profilo musicale esso rivela ben presto caratteristiche inedite  di cosmopolitismo: non solo U.S.A. ed Inghilterra, ma anche Francia, Italia, Germania, Svezia e Spagna ne sono protagoniste con una ridda di gruppi ed etichette che rendono la ricostruzione un’impresa titanica ma appassionante.

Dovendo cercare un’origine del fenomeno, quantomeno sotto il profilo del primato cronologico, il luogo migliore sono gli Stati Uniti: a sorpresa, i primi sintomi di questo revival sui generis, affiorano per la prima volta nell’area musicale più seria e colta dell’indie rock degli anni ’90, vale a dire il post rock. Nel 1989 si formano, infatti, a Kansas City i Coctails, formazione che nel debutto del 1991 “Here Now Today” fonde l’exotica di Martin Denny e Les Baxter con schegge rock e jazz: lo stesso anno il gruppo si trasferisce nella futura vice-capitale del post rock Chicago e comincia a suonare al Lounge Ax, per poi dare un seguito all’esordio nel 1995 con “Long Sound”, affinando ed ampliando ulteriormente la propria miscela sonora con l’aggiunta di sax, clarinetto, tromba e vibrafono. Lo stesso anno la band si scioglie ed il cantante e polistrumentista Archer Prewitt si unisce al gruppo post rock The Sea And Cake e già appaiono sulla scena dei possibili eredi:  i Friends of Dean Martinez, all’esordio con “The Shadow of Your Smile”, supergruppo formato da membri di Giant Sand e Naked Pray che unisce mirabilmente exotica, surf, Morricone e rock desertico.

Il suono si farà più sobrio, avvicinandosi in parte al post rock, nei dischi dei Calexico, progetto successivo dei due Giant  Sand (e Friends of Dean Martinez) Joey Burns e John Convertino, che  esordisce nel 1997 con “Spoke” e trova il capolavoro un anno dopo con “The Black Light”: l’influenza di Morricone è sempre fortissima e il suono desertico del gruppo si arricchisce di trombe mariachi in un disco che rappresenta una delle riletture più serie e drammatiche di quei suoni del passato.

Agli antipodi dei Calexico si colloca un altro gruppo americano impegnato nella rilettura dell’easy listening come i Combustible Edison: fin dall’esordio del 1994 con “I, Swinger” il gruppo è quasi calligrafico nella riproposizione dei suoni dello space age pop di Esquivel e le atmosfere da giungla posticcia di Les Baxter, non facendo mancare, anche in questo caso, svariati cenni  al Morricone più pop, il tutto però giocato su uno spirito irriverente e  un gusto smisurato per il kitsch, che un paio d’anni dopo ritroveremo nelle uscite della tedesca Bungalow, etichetta chiave del revival lounge che esordisce nel 1996 proprio con un singolo del gruppo, “Short Double Latte”, per poi occuparsi della distribuzione europea di “Schizophonic”, secondo disco della formazione americana.

L’etichetta prosegue allineando uscite che rappresentano il lato più scanzonato del revival lounge, dalla seminale serie Sushi la cui prima uscita, “Sushi 3003”, del 1996, è un manifesto del fenomeno giapponese shibuya style ad una serie di uscite che rendono un’idea del carattere internazionale del fenomeno: Germania (Stereo  Total), Giappone (Fantastic Plastic Machine), Regno  Unito  (Momus), Francia (Bertrand Burgalat) sono ottimamente  rappresentate. Con la compilation del 2000 “Atomium 3003” sull’universalità del fenomeno si arriva a stilare un concept: il disco, infatti, si sforza di estendere ulteriormente gli orizzonti geografici includendo nella scaletta anche l’Italia con i Valvola,  la Spagna coi Le Mans e la Svezia coi Club 8: ad ognuno di questi tre gruppi fa  capo una seminale etichetta nazionale,  rispettivamente S.h.a.d.o., Elefant e Labrador, mentre alle spalle di Burgalat c’è l’etichetta francese Tricatel.

Tra il debutto dei Combustible Edison ed una compilation come “Atomium 3003”, nata appositamente per mettere in vetrina la complessità e ricchezza della scena lounge internazionale, ci sono una serie di eventi e di gruppi che rendono necessario un passo indietro, per capire l’esplosione di quei suoni e, più in generale, del fenomeno. Tempo e luogo: inizio anni ’90 in America. Lì, come si è già accennato in precedenza a proposito dell’indie rock, artisti come i Beastie Boys di “Paul’s Boutique” (1989) e “Check Your Head” (1992) ed il Beck di “Mellow Gold” (1994) e “Odelay” (1996) si divertono a creare frullati sonori che hanno, rispettivamente, hip hop e rock come vaga base di partenza, ma che si divertono ad inserire nella musica i campioni e gli elementi sonori più disparati (tra cui schegge di tropicalia e bossa nova).

Questi artisti creano un prototipo musicale di collage sonoro che diviene pratica diffusa presso un gran numero di artisti indie, primi fra tutti i gruppi della Grand Royal (etichetta fondata proprio dai Beastie Boys) come Money Mark, Sean Lennon e Buffalo Daughter: proprio queste ultime sintetizzano il perfetto punto d’equilibrio tra il collage di stili dei loro ispiratori Beastie Boys ed il frullato sonoro operato dai loro conterranei Pizzicato Five, gruppo pionieristico del cosiddetto Shibuya Style. È un suono che prende vita nei primi anni ’90 nel quartiere trendy di Tokyo Shibuya e che è per molti versi la controparte pop del frullato sonoro inventato dai Beastie Boys, portata avanti da gruppi come Buffalo  Daughter  e Pizzicato Five, appunto, ma anche Cibo Matto, Cornelius e Fantastic Plastic Machine, fautori di un suono che trae piacere e linfa dal suo lato kitsch e primi protagonisti dell’ingresso dell’easy listening nell’universo indie: non a caso dietro la distribuzione americana di Pizzicato Five e Cornelius c’è la Matador, label indie per eccellenza.

La miscela sonora praticata da questi gruppi è talmente spericolata da far apparire gruppi come Coctails e Combustible Edison seriosi conservatori: la musica dei Pizzicato Five, attivi dalla fine degli anni ottanta ma importati dalla Matador solo nel 1997 con “Happy End of the World”, è una sorta di remix folle ed irresistibile del pop e dell’easy listening degli anni ‘50/’60, con sonorità che spaziano tra bossa nova e beat, Burt Bucharach e Brian Wilson; Cornelius è una sorta di versione shibuya del primo Beck, il pop dei Beach Boys e lo shoegazing dei My Bloody Valentine a sostituire folk e blues come influenze principali, almeno nel debutto del 1997 per Matador “Fantasma”: il suo suono tenderà ad astrarsi ed arricchirsi di ulteriori influenze nel successivo “Point” (2002); è più vicino alla dance Fantastic Plastic Machine, all’esordio omonimo nel 1998, affine per certi versi al Dimitri From Paris lounge di “Sacre Bleu”.

Sonorità retrofuturiste da party che trovano una controparte ambientale nei seminali dischi di Stereolab e Pram, gruppi di punta del post rock inglese che costituiscono un altro tassello fondamentale per la creazione del suono neo-lounge di fine anni ’90 e della cui incredibile fusione tra exotica, pop anni ’60 e kraut rock si è già parlato in precedenza: lavori come “Emperor Tomato Ketchup” (1996) degli Stereolab e “North Pole Radio Station” (1998) dei Pram rappresentano il lato più cerebrale di un pop ambientale e retrò che ritroviamo in una lunga serie di dischi firmati, tra gli altri, da Air, Kid Loco, Plone,St. Etienne, Aluminium group ed High  Llamas.

Gli Air di “Moon Safari” (1998) ed il Kid Loco di “A Grand Love Story” (1997) rappresentano il suono morbido dell’invasione francese di fine anni’90 di cui si parla altrove: se il secondo coniuga sapientemente la psichedelia barocca dei Love con il pop francese anni ’60 (che poco dopo verrà rivisitato dalla già citata Tricatel nei dischi di artisti come Bertrand Burgalat e April March),  gli Air ricreano con strumenti vintage come moog e rhodes i paesaggi  sonori creati da Jean-Michel Jarre e dai Pink Floyd più atmosferici combinandoli con una vena pop ispirata, per loro espresso riconoscimento, da Bucharach, Wilson e Morricone .

A dimostrazione dell’ascendente rivestito da questa triade per il revival dell’easy listening di questo periodo gli stessi artisti sono citati con fierezza anche da Sean O’Hagan, cantante, chitarrista, nonchè suonatore di moog, organo e glockenspiel (anche per conto degli Stereolab) con gli High Llamas di “Gideon Gaye” (1994) e “Cold And Bouncy” (1998) e risultano un’influenza evidente anche sulla musica degli Aluminum Group di “Pedals” (1999), capolavoro dei fratelli Navin di Chicago, coprodotto da quel Jim O’Rourke che lo stesso anno firmerà “Eureka”, geniale contributo del post rocker di Chicago al revival del pop anni ’60.

Pop anni’60 che rivive anche nelle canzoni degli svedesi Cardigans, autori di una doppietta di dischi (“Life”, del 1995 e “First Band on the Moon”, del 1996) che rappresenta uno dei massimi successi commerciali dell’ondata retro di metà anni ’90: il che non stupisce, visto l’approccio del gruppo a questi suoni, molto più frivolo ed immediato rispetto alla colta rilettura fatta da gente come  O’Rourke ed Aluminium Group, un suono che ritroviamo anche nei  dischi di connazionali come Cloudberry Jam, Eggstone e Komeda, fondamentali nel riportare sulle mappe del pop la Svezia, assente dalle cronache pop internazionali grosso modo dai tempi degli Abba…

Post rock, shibuya style, elettronica indie: come stato anticipato la rivalutazione dell’easy listening e in particolare di alcuni suoi autori chiave è un fenomeno trasversale che tocca un gran numero di generi e nazioni, viene suonata da noti avanguardisti e da star dell’indie rock, si diffonde attraverso Francia, Germania e Svezia; non bisogna però dimenticare che gran parte dell’easy listening nasce prima di tutto come musica d’ambiente, sia che fornisca il contrappunto sonoro alle immagini di un film, sia che crei l’atmosfera in un locale chic, sia che diventi musica da ballo e da festa…

È naturale quindi che i Dj si approprino di questi suoni ed è ancor più naturale che a fare questo siano i produttori downtempo, che ereditano il passo lento e il riverbero dub dal trip hop e vi iniettano nuove sonorità, spezie ritmiche latine e schegge sonore di jazz brasiliano prima di tutto; ed è naturale pure che siano sempre i Dj a guidare una ricerca selvaggia di oscuri reperti discografici, cimeli sonori trovati rovistando negli archivi musicali di Cinecittà e nei magazzini della Verve records; non stupisce infine che un’etichetta come la italiana Irma, da sempre legata all’universo della dance si premuri di compilare mix lounge e di pubblicare l’esordio di un gruppo come i Montefiori Cocktail che è quasi la controparte Italiana di Dimitri From Paris.

Le prime avvisaglie di quel colpo di fulmine possono essere già ricercate nelle dichiarazioni delle stelle del trip hop Portishead che citavano tra le proprie principali fonti d’ispirazione gente come Bucharach, Morricone e Barry. Gli eventi negli anni successivi incalzano: nel 1994 esce “Glücklich”, seminale compilation  della Compost che è già un manifesto della downtempo contaminata di  bossa e jazz che renderà famosa l’etichetta ed il cosidetto nu-jazz, nel 1995 cominciano a circolare remix firmati dai  viennesi Kruder&Dorfmeister che coniugano atmosfere dub con  ritmiche brasiliane (remix raccolti nel 1998 nel seminale doppio, “K&D Sessions”, uscito per la !K7), nel 1997 appaiono sulla scena con “Sounds from the Thievery Hi-Fi” i Thievery Corporation duo di produttori che di K&D rappresenta quasi una controparte americana, seguono esperimenti come quelli di Gotan  Project e Federico Aubele che integrano i suoni ovattati del dub con le  ritmiche latine di tango e flamenco.

Le etichette menzionate, Compost e !K7, si rivelano fondamentali per la diffusione della downtempo più atmosferica e contaminata di jazz e bossa, insieme alla Stereo Deluxe di Mo’ Horizons, Boozoo Bajou e Bobby Hughes Combination, alla Yellow  Productions di Kyoto Jazz Massive, Tom & Joyce e Mighty Bob e all’Italiana  Schema Records, una delle migliori del lotto, per cui escono Nicola Conte (cofondatore della label), Dining Rooms e Gerardo Frisina; controparte stucchevole e commerciale di queste uscite le infinite raccolte, sulla scia della celebre collana “Buddha Bar”, che rappresentano l’aspetto meno interessante del fenomeno, colonna sonora per il chill out ad Ibiza o tappezzeria sonora per bar chic.

Uno dei tanti fenomeni che porta il revival lounge ad un declino radicale a cavallo tra i due decenni: tuttavia alcune ottime proposte in ambito downtempo (genere in cui la lounge ha trovato a quanto pare una nicchia inespugnabile) e il diffondersi della moda della rilettura in chiave lounge di pezzi celebri della storia del rock (quella fatta nell’esordio omonimo del 2004 dai Nouvelle Vague la migliore, ma vi è anche lo swing nei dischi di Richard Cheese, la salsa in quelli di Senor Coconut, la bossa in quelli dei Pastel Vespa) inducono a pensare che il genere forse ha ancora qualche cartuccia da giocare.

Tornando ad High Llamas ed Aluminium group, è bene precisare che la vena orchestrale che anima i loro dischi non è altro che l’espressione di un fenomeno più vasto, prevalentemente inglese, che vede un ritorno di fiamma per il pop barocco degli anni ’60: non solo Bucharach e Wilson, in questo caso, ma anche Scott Walker e Lee Hazelwood tra i principali modelli di riferimento, (vale a dire coloro che per primi avevano giocato per primi con l’idea di applicare arrangiamenti classici al pop), ma anche un artisti come Nick Drake che per i suoi pezzi intimisti si era affidato al suono discreto di un ensemble da camera.

Scott Walker è tra i riferimenti principali: si fonde con la decadenza del glam più melodrammatico in “This Is Hardcore” dei Pulp (1998) e in “A Short Album About Love” dei Divine Comedy (1997), viene sposato con Hazlewood e Cave dai Tindersticks dell’esordio omonimo del 1993 e dai Jack di “Pioneer Soundtracks” (1996), tutti gruppi dediti a sviluppare il suono più scuro del pop orchestrale. Agli antipodi si collocano i Belle & Sebastian di “If You’re Feeling Sinister” (1996), disco che fa scuola con una strana miscela  di Donovan, Nick Drake e Smiths: il gruppo diventa subito fenomeno di culto e rilancia il suono del twee pop e la scena pop scozzese in generale; il clima generale di rivalutazione del pop classico, tra un revival di Bucharach e uno dei Beach Boys, contribuisce  sicuramente, almeno in parte, al successo del gruppo: quando la cantante del gruppo Isobel Campbell, intrapresa la carriera solista, (dopo un breve periodo a nome Gentle Waves), nell’esordio del 2003 “Amorino” e nell’ EP del 2004 “Time Is Just the Same”omaggia il pop orchestrale di Lee Hazlewood e la bossa nova e coverizza “Argomenti” di Morricone, il cerchio si chiude.

Non c’è comunque solo il Regno Unito tra le nazioni toccate dal pop cameristico: l’America è lesta a carpirne i segreti e se dal 1996 gira un gruppo come i Lambchop che agisce tra le pieghe più vivaci del movimento alternative country suonando un incredibile country-rock orchestrale, molti gruppi del giro psichedelico Elephant 6, come Essex Green e Ladybug Transistor impregnano i propri dischi di citazioni Bucharachiane e arrangiamenti barocchi, un’evoluzione naturale per un movimento che fin dall’inizio si era rifatto alle più classiche e nobili tradizioni pop, dai Beatles a Brian Wilson.

L’incontro definitivo tra le due scuole pop (inglese ed americana) arriva, però, nel 2002 con l’esordio dei Decemberists “Castaways and Cutouts”, fusione perfetta tra il pop Smithsiano e folk  dei Belle&Sebastian e quello Wilsoniano psichedelico dei Neutral Milk Hotel, tra la voglia di raccontare storie ed il desiderio di adagiare queste storie su un soffice tappeto musicale generato dagli intrecci degli arrangiamenti cameristici, un disco che è l’ennesimo punto segnato da una rivincita del pop ancora in corso…

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