Storia della musica #50
Techno Hardcore, Techno Ambient e Drum'n'Bass
Per capire l’esplosione di generi e stili che sul finire degli anni’80 e per tutti gli anni’90 ( e oltre) coinvolge non solo la techno, ma più in generale tutti i settori dell’elettronica, prima fra tutti la house, è necessario fare alcune considerazioni preliminari. È necessario, infatti, rendersi conto che per tutti gli anni’80 lo sviluppo di techno e house avviene in parallelo: da una parte le limitazioni tecnologiche dall’altra i forti legami tra i pionieri della techno di Detroit e i primi Dj house di Chicago hanno reso i confini tra i due generi piuttosto labili, tanto che un singolo come “Strings Of Life” di Rhythm is Rhythm, pur essendo opera di un pioniere della techno è considerato un classico di entrambi i generi.
Non solo, come si è già detto fino al 1988, anno della storica compilation “Techno! The New Dance Sound Of Detroit”, il genere non ha nemmeno un nome: è sul finire degli anni’80, quando la techno comincia a fratturarsi in una raggiera di stili diversi che, per assurdo, il genere trova una sua identità. Le ragioni di tale diaspora stilistica sono molteplici: da una parte c’è l’evoluzione della tecnologia che consente agli artisti una maggior libertà creativa, dall’altra c’è la natura decentrata dello sviluppo del genere che non è legato al formato ingombrante dell’album e alla diffusione radiofonica ( che si tratti di radio mainstream o college radio) e televisiva, o almeno non solo, poichè le evoluzioni dell’elettronica prendono piede e forma principalmente sul campo, nei rave e nei club sparsi per l’Europa. Si, perché ad accentuare la frammentazione del genere si aggiunge la perdita parziale della centralità musicale di America e Regno Unito: se anch’essi si riveleranno fondamentali per gli sviluppi del genere, sulla mappa musicale spuntano la Germania e l’Olanda prima, la Francia poi.
I primi passi vengono mossi alla fine degli anni ‘80, nel pieno del fenomeno acid house ( stile musicale emblematico di quella sovrapposizione tra house e techno di cui si diceva, trovandosi in una dimensione sonora che sta esattamente a metà strada tra techno ed house): in quegli anni cominciano ad incidere gli LFO ed i Klf ( Kopyright Liberation Front), artisti che intraprendono strade molto diverse, destinate però di lì a poco ad incontrarsi. I primi pionierizzano un suono che costituisce la risposta inglese alla primissima techno di Detroit, con samples di vocoder e breaks elettronici che rimandano agli esperimenti di Afrika Bambataa e Cybotron: il debutto su Lp del 1991, “Frequencies” è pubblicato in Inghilterra dalla Warp di Sheffield, etichetta fondamentale per la diffusione di questa prima forma di techno minimale e retrò, scarna e lo-fi definita bleep techno, sorta di punto d’incontro tra la techno di Detroit, la prima house di Chicago, l’acid house e le musiche dei videogiochi anni ’80.
Con il logo Warp escono anche i singoli di Tuff Little Unit, Tricky Disco e Nightmares On Wax, dischi che inventano il concetto stesso di IDM, (Intelligent Dance Music), non genere che andrà ad identificare tutta quell’elettronica destinata non necessariamente e non tanto al ballo, quanto all’esplorazione del lato più creativo e sperimentale del genere. Non è un caso che la Warp sia tra le prime etichette di elettronica a dare risalto anche al formato dell’LP: se il già citato “Frequencies” degli LFO e “A Word of Science” dei Nightmares on Wax, entrambi del 1991, sono tra i primissimi, l’anno successivo esce “Bytes” dei Black Dog, uno dei dischi fondamentali per la nascita della techno ambient. Per capire come ci si arriva è necessario però fare un passo indietro…
Nel 1990 Bill Drummond e Jimi Cauty, già sotto la sigla the JAMS pionieri dell’arte del campionamento, firmano con il moniker Klf il disco “Chill Out”, primo esempio assoluto di ambient house: un suono alieno che aggiorna all’era dei samples Brian Eno e che, pur non incontrando i favori commerciali del grande pubblico si rivela seminale nella sua intuizione. Prima di fondare i Klf Cauty ha collaborato, anche se per poco tempo, con Alex Patterson sotto la sigla Orb: nome che Patterson mantiene, quando decide di pubblicare “Adventures Beyond the Ultraworld”, album del 1991 che codifica definitivamente il genere; una house rallentatissima, abitata da spettrali layer sintetici e da effetti sonori spaziali che fondono l’ambient di Brian Eno con la musica cosmica dei Tangerine Dream.
Sono sonorità che ben presto vengono messe al servizio del chill out, accompagnando il sorgere del sole in una sala apposita dell’Heaven di Paul Oakenfold, la Land of Oz, ma che allo stesso tempo pongono le basi per lo sviluppo futuro della techno ambient, attraverso dischi seminali come il già citato “Bytes” dei Black Dog, “Selected Ambient Works 85-92” di Aphex Twin e “Incunabula” degli Autechre, del 1993 e “Lifeforms” dei Future Sound Of London, del 1994. Dischi in cui le atmosfere ambientali sono ricreate e riviste attraverso il gusto sonoro di casa Warp, ripercorse da suoni e strumenti elettronici appartenuti alla prima era dell’elettronica, combinate con un gusto per melodie minimali e gentili: un suono che prosegue sui solchi più sperimentali della techno e pone le fondamenta per gli scenari glitch di fine decennio.
Mentre tra Londra e Sheffield vengono poste le basi per la creazione di un suono techno d’avanguardia, in Germania, a Francoforte e Berlino, sempre sul finire degli anni ’80, si battono strade radicalmente diverse: due DJ in particolare, Sven Vath e Kid Paul, creano due etichette fondamentali come Eye-Q e Tresor. La prima si rivela centrale, attraverso singoli come "Energy Flash" di Joey Beltram, "The Ravesignal" di CJ Bolland e "L'Esperanza" dello stesso Vath, per lo sviluppo del suono della trance, stile che fonde techno ed euro dance con un suono fatto di ipnotiche linee melodiche tracciate dai synth (he esasperano la ripetitività della techno detroitiana), una ritmica che gira sempre sui soliti 4/4 di house e techno ma che al culmine del pezzo collassa nel cosiddetto breakdown in cui la ritmica esplode per poi crollare di colpo e riprendere col solito 4/4, il tutto su un tappeto lussurioso di archi su cui si innestano le linee melodiche tracciate dai pad atmosferici e dalle occasionali voci.
Proprio questa accentuata componente melodica ed atmosferica, che deriva in parte dall’influenza dell’euro dance e che diventa fin da subito uno degli elementi caratteristici del genere, diviene il punto d’incontro con la house, dando vita a quel progressive che comincia a circolare in Inghilterra a metà anni ’90: suono atmosferico e ipermelodico che comincia a spuntare nei dischi di Bt, Robert Miles, Paul Van Dyk e Atb. A cavallo tra i due decenni, la trance è uno dei generi di maggior successo commerciale della scena elettronica inglese e produttori come Sasha, Pete Tong e Dj Tiesto svettano in testa alle classifiche dei Dj anglosassoni.
Se la strada intrapresa dalla EyeQ di Sven Vath pone le fondamenta per la variante più melodica del suono della techno, l’opposto si può dire per la Tresor di Kid Paul, per la quale escono nei primi anni’90 i dischi di seminali produttori di Detroit come Jeff Mills e Drexciya, (oltre che del pioniere Juan Atkins), che, insieme a illustri concittadini come Robert Hood, Richie Hawtin (alias Plastikman) e l’ex assistente di May, Carl Craig, si rivelano tra i più strenui e rigorosi seguaci di un suono che si rifà alla techno detroitiana più spoglia e primitiva e che prenderà il nome di techno minimale.
Se nei pezzi usciti a nome Cybotron e Model 500 il suono era scarno in gran parte per motivi tecnici, a causa cioè delle limitazioni imposte dalla tecnologia dell’epoca, le produzioni di Mills e soci lo sono per una scelta consapevole, un antidoto alle infinite fusioni e commercializzazioni del suono techno degli anni’90, che passa per la strada del ritorno alle radici (una pratica non nuova nella storia della musica): non si tratta comunque di fotocopie degli originali o di revivalisti, quanto piuttosto di artisti che decidono di proseguire il percorso cominciato dieci anni prima, alcuni esasperandone la crudezza e l’aggressività ( come il primo Jeff Mills) altri (come il Plastikman di “Musik”) inacidendone le sonorità.
Germania ed Inghilterra non sono le uniche nazioni europee a rivelarsi cruciali per l’evoluzione della techno. Nel 1989, infatti, ad esse si affianca l’Olanda nella creazione di una sua personale colonna sonora per i rave; se a Manchester imperversa l’acid house e a Berlino si diffonde il suono della trance, a Rotterdam e a Londra comincia a prendere vita una forma di techno molto più aggressiva e brutale: la techno hardcore, versione anfetaminica della techno originaria, dal bpm accelerato ai limiti della ballabilità.
Il suono della techno hardcore di Rotterdam, definito gabba, è il più feroce e viaggia intorno alle 200300 battute per minuto, ( il record è, però, dell’inglese Moby che raggiunge risultati quasi comici con le 1000 battute per minuto di “Thousand”): un suono, documentato da singoli e compilation e coniato da produttori come Paul Elstak e The Mover, che presto comincia ad essere associato al movimento naziskin, (un po’ come successo con l’oi! inglese dieci anni prima), caricando di significativi negativi un genere che comunque non tarda a fare proseliti in Scozia e, soprattutto, in Germania. Proprio da lì proviene un artista come Alec Empire che, fondendo i tempi inumani del gabba con l’abrasività sonora dell’industriale, conierà a fine anni ’90 quello che egli stesso definirà digital hardcore.
Rispetto al gabba lo spettro stilistico dell’hardcore inglese si rivela più variegato. Fin dai primissimi anni ’90, ad un hardcore più contaminato che integra breakbeat di scuola hip hop e influenze ragga in singoli come "Poing" di RTS”, "On a Ragga Tip" di SL2's e nei pezzi dei primi Prodigy (che firmeranno nel 1992 uno dei rari LP della scena, “Experience”), se ne affianca un altro, dalla corporalità frenetica, nei pezzi di produttori come Slipmatt e Hixxy & Sharkey: si tratta dell’happy hardcore, versione quasi caricaturale dell’hardcore techno originale, bpm esasperato, velocissime melodie tracciate da synth o da piano e sopra voci dal pitch impazzito che paiono uscite dai cartoni dei chipmunks, destinato ad ottenere un suo seguito di culto.
Ma sarà soprattutto il primo filone, quello che incrocia le sue strade con i suoni giamaicani più oscuri, non solo ragga ma anche dub, a segnare la storia della musica elettronica degli anni’90 evolvendosi di lì a poco nel fenomeno jungle. Il nome deriva dal locale in cui cominciano a prendere piede i primi esperimenti d’ibridazione, il londinese Jungle, appunto, e viene speso la prima volta per definire i singoli di etichette come Kickin' e Shut up & Dance: breakbeat, ritmi sincopati e frenetici, atmosfere lugubri ed oscure derivati dalla produzione dub che tracciano un immaginario filo di congiunzione con il suono del trip hop che nello stesso periodo comincia a circolare per Bristol. Pezzi come "Excorcist" e "The Bee” di The Scientist e “Hurt You So” di Johnny L (uscito per la Xl Recordings) sono i timidi passi iniziali di quel suono, mentre 4Hero e Grooverider ne sono i primi fuoriclasse, artefici delle prime sperimentazioni di fusione tra hardcore e breaks: nel momento in cui Wax Doctor comincia ad inserirvi linee di basso dense e scurissime, il genere è praticamente nato.
Quando escono i lavori di Ed Rush e LTJ Bukem e si cominciano a moltiplicare le uscite della seminale Moving Shadow il gap con il suono tradizionale dell’hardcore è ormai abissale e ben presto jungle e happy hardcore si rivelano antitetici; la distanza tra i due generi si accentua ulteriormente quando artisti come LTJ Bukem, Grooverider e Photek cominciano ad allargare, sulla base delle premesse stilistiche della jungle, lo spettro delle sperimentazioni: è qui che si comincia a parlare di drum’n’bass, ad indicare con un termine catch-all una raggiera di suoni quanto più diversificata. Nel 1995, con l’uscita di “Timeless” di Goldie il genere emerge dall’underground ed esplode a livello commerciale; non solo: è con lui che incomincia un percorso di contaminazione col soul e col jazz portato avanti col collettivo ( e con l’omonima etichetta personale) Metalheadz, di cui fanno parte, tra gli altri, Fabio, Kemistry and Storm ed il solito Grooverider. Quest’ultimo inoltre è considerato uno degli inventori del cosidetto hardstep, drum’n’bass dai breaks granitici e dal basso martellante, genere portato brillantemente avanti da produttori come Aphrodite, Capone e Ganja Kru. Più in generale la drum’n’bass comincia a vivere una sorta di diaspora stilistica che porta all’esplosione di una girandola frenetica di sottogeneri…
Si va dal darkside, variante gotica e quasi industriale della drum’n’bass, lanciata da artisti come Scorn e Unabomber, al jazzstep, nato con i lavori di Alex Reece, ritmiche e campioni be-bop, scale jazz, fiati e strumenti acustici, suono che raggiunge il suo apice col seminale “New Forms”, prodotto da Roni Size col collettivo Reprazent nel 1997, drum’n’bass atmosferica e raffinatissima in cui ai suoni campionati si affiancano gli strumenti suonati. Si va dall’illbient ( letteralmente ambient malato), discendente cupo e ambientale della drum’n’bass, nato a Brooklyn a metà anni’90 attorno alla figura di Dj Spooky, esordiente nel 1996 su Asphodel ( etichetta centrale per il genere) con “Songs of a Dead Dreamer”, al drill’n’bass, versione esangue e spastica della drum’n’bass, divenuta topolino da laboratorio, sezionata e rimontata al computer da artisti come Squarepusher (“Feed Me Weird Things” del 1996), Aphex Twin (“Richard D. James Album”sempre del 1996), Animals On Wheels ed Amon Tobin: produttori che portano la d’n’b lontano dalle piste da ballo e la spingono in territorio IDM. Più in generale la drill’n’bass rappresenta uno dei primi esempi di jungle sperimentale: incursioni avanguardistiche tra i ritmi sincopati della drum’n’bass proseguiranno con Third Eye Foundation, Spring Heel Jack e Twisted Science.
A fine anni’90 il successo commerciale si è ormai ridimensionato ed il genere, ormai divenuto una specie di reincarnazione techno del progressive, diviso tra le sperimentazioni jazzistiche dei produttori neri e gli slanci avanguardistici di quelli bianchi, sembra arrivato al capolinea. Ad inizio millennio comincia invece a sorpresa una rigenerazione di quei suoni, cullata dalle accoglienti braccia dell’underground, che passa per strade diverse: dalle contaminazioni con la musica latinoamericana di Dj Marky ( che rivela al mondo l’eccitante scena d’n’b brasiliana) e di due veterani della scena jungle come Shy Fx & T-power che riportano la drum’n’bass sulle piste con “Set It Off”(2002), ad High Contrast, artista di punta della Hospital Records, che in True Colors fonde jungle e 2step; tutti segnali che portano a parlare, dal 2001 in poi di una rinascita della drum’n’bass.
Ancora più marcata è l’evoluzione del genere nel momento in cui, nei primi anni del nuovo millennio, si trasfigura nel cosiddetto broken beat: un suono che si sviluppa a West London, che prende i ritmi sincopati della drum’n’bass, li frattura ulteriormente e li fonde con raffinati tappeti di tastiere di scuola soul jazz memori di Roy Ayers ed Herbie Hancock. Seminale si rivela una compilation come “2000 Black: The Good Good” ( vetrina musicale dell’etichetta 2000 Black, appunto, centrale con Co-op, People ed Ubiquity per lo sviluppo di questi suoni), seguono dischi come “Creating Patterns” (2001) dei 4 Hero che tracciano un collegamento ideale tra jazzstep e broken beat, Download This” (2001) dei New Sector Movements e soprattutto “Sweet And Sour” (2002) del progetto Focus ( dietro la cui sigla si cela il produttore Phil Asher), prime espressioni di una scena ancora vergine sotto il profilo commerciale: tuttavia la messa sotto contratto da parte della V2 dei Bugz in the Attic (collettivo che raduna mezza scena di West London), con la conseguente uscita della raccolta di remix “Got The Bug” nel 2004, lascia presagire possibili scenari differenti per il futuro …
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